Gli eventi alluvionali che hanno colpito recentemente l’Emilia-Romagna rappresentano il risultato di una complessa interazione tra fattori naturali e antropici, e per questo motivo non possono essere analizzati in modo superficiale. Tuttavia, commenti affrettati e poco approfonditi continuano a circolare sui mezzi di comunicazione e sui social network, spesso distorcendo la comprensione delle cause reali. In attesa di una valutazione più dettagliata, è possibile delineare alcuni elementi chiave che hanno contribuito a queste alluvioni.
Le piogge registrate sono state eccezionalmente intense, con valori che raggiungono i massimi storici per la zona nell’ultimo secolo. In meno di tre settimane, le precipitazioni accumulate hanno superato la metà della media annua, con picchi di oltre 250 mm in due giorni e un totale di oltre 600 mm in venti giorni. Questi dati eccezionali hanno avuto un impatto devastante su un territorio già vulnerabile.
La pianura romagnola, infatti, è caratterizzata da un’elevata suscettibilità ai rischi idraulici, come evidenziato dalla cartografia prodotta dall’ISPRA. Nel corso dei secoli, una fitta rete di canali di bonifica ha trasformato aree paludose in terreni coltivabili e abitabili. Tuttavia, durante eventi di piena straordinari, la rottura o il superamento degli argini dei fiumi, spesso sopraelevati rispetto alla pianura circostante, può provocare alluvioni improvvise e devastanti. Fenomeni simili si sono verificati anche negli anni precedenti, sebbene con minore intensità e impatto.
Un ulteriore elemento che aggrava i danni causati dalle alluvioni è l’intensa urbanizzazione della zona. Tuttavia, è importante sottolineare che piogge di tale intensità avrebbero probabilmente generato danni significativi anche in aree meno densamente popolate.
Anche la gestione del territorio montano, inclusa la manutenzione dei boschi e delle aree agricole, è fondamentale per molteplici ragioni, ma da sola non può prevenire eventi idrogeologici di tale portata. Le recenti alluvioni non possono essere imputate esclusivamente all’abbandono delle aree montane appenniniche.
Infine, azioni comunemente proposte come soluzioni, quali la rimozione della vegetazione lungo i fiumi o l’asportazione di sedimenti dall’alveo, rischiano di causare più danni che benefici. Questi interventi possono destabilizzare le sponde dei corsi d’acqua e alterare il loro regime idrodinamico, scatenando processi erosivi a monte, con conseguenze potenzialmente catastrofiche.