È opinione comune che l’attuale generazione di rivelatori di onde gravitazionali Ligo-Virgo-Kagra (Lvk) possa rilevare le supernove da collasso gravitazionale del nucleo (Cc-Sne) all’interno della Via Lattea e comunque non oltre i suoi dintorni. Una nuova ricerca mostra che Lvk potrebbe rilevare le Cc-Sne più energetiche fino a distanze mille volte maggiori, fino all’ammasso della Vergine e oltre. Questa nuova prospettiva è stata recentemente presentata al convegno internazionale Cospar 2024 ed è riportata oggi su The Astrophysical Journal Letters.
Secondo quanto ripota un articolo pubblicato su Media Inaf, sebbene le Cc-Sne siano piuttosto eterogenee, questa nuova prospettiva riguarda le supernove di tipo Ic, i cui progenitori esplodono dopo aver perso gli inviluppi di idrogeno ed elio. Queste Cc-Sn sono note perché una loro sottoclasse, caratterizzata da grandi velocità di espansione, denominata Sne-Ic “broad lines” (Sne-Ic Bl) risulta associata con lampi gamma (Grb) di lunga durata. È importante sottolineare che eventi di questo tipo sono probabilmente caratterizzati, alla fine del collasso del core (il nucleo), dalla formazione di buchi neri in rapida rotazione. Il “serbatoio” di energia è rappresentato in questo caso dal loro momento angolare, che supera di gran lunga quello delle stelle di neutroni che alimentano eventi relativamente più frequenti.
Questa nuova prospettiva si basa su due ingredienti chiave: un buco nero in rotazione circondato da materia ad alta densità sotto forma di un disco o toro compatto. Questo toro può agire come catalizzatore e facilitare la conversione di parte dell’energia di spin in radiazione gravitazionale. Col tempo, il toro si espande, man mano che il buco nero perde lentamente velocità di rotazione, e questo processo produce un caratteristico chirp discendente nelle onde gravitazionali. Questo processo di perdita di velocità di rotazione del buco nero è stato osservato in Gw 170817B, associato alla kilonova At 2017gfo che ha seguito la fusione doppia di neutroni Gw 170817. Un’emissione molto simile è attesa da Cc-Sne energetiche, scalata per massa. È cruciale notare che Gw 170817B è stato osservato alla distanza extragalattica di 40 Mpc, circa mille volte il diametro della Via Lattea.
“Considerando le attuali capacità degli osservatori Lvk e i nostri risultati, stimiamo che, in condizioni ottimali, potremmo rilevare fino a circa un evento all’anno. In modo più conservativo e forse più realistico, assumendo condizioni meno favorevoli e tenendo conto dei cicli di attività limitati dei rivelatori, stimiamo un tasso di detection di pochi eventi per decennio. Questo è comunque significativamente superiore ai due eventi per secolo previsti nella Via Lattea”, dice Maurice van Putten dell’Università di Sejong, astrofisico associato all’Inaf che sta conducendo questo studio insieme alla ricercatrice postdoc Maryam A. Abchouyeh e a Massimo Della Valle dell’Inaf di Napoli.
Questo risultato, basato su calcoli accurati, deriva da tre semplici considerazioni, spiegano gli autori dello studio. Anzitutto, rispetto a Gw 170817, ottenuto durante l’O2 (secondo observation run) di Lvk nel 2017, l’attuale rivelatore O4 è più sensibile di un fattore 1,8. Secondo, si prevede che i buchi neri prodotti nelle Sn-Ic Bl siano relativamente più massicci. Questo consente – terza considerazione – un output energetico più elevato a frequenze inferiori, più vicine allo sweet spot della sensibilità del rivelatore Lvk (circa 100-250 Hz). Per O4, l’insieme di questi tre fattori spinge la distanza dell’orizzonte di osservabilità delle Sn-Ic Bl che producono buchi neri fino ad almeno decine di megaparsec, migliorando la prospettiva statistica di una rilevazione di circa due ordini di grandezza rispetto all’O2.
Osservazioni multi-messenger di Cc-Sne
Le onde gravitazionali potrebbero avere la capacità di rivelare il motore centrale e quindi la natura del remnant dell’esplosione stellare: stelle di neutroni o buchi neri. Distinguere tra questi due scenari basandosi solo su osservazioni elettromagnetiche appare notoriamente difficile. Anche per oggetti molto vicini come Sn 1987A, nella Grande Nube di Magellano, abbiamo dovuto aspettare circa 37 anni – con le recenti osservazioni del James Webb Space Telescope – per fornire prove convincenti dell’esistenza di una stella di neutroni come remnant dell’esplosione di Sn 1987A.
Una rilevazione di un chirp discendente di onde gravitazionali identificherebbe inequivocabilmente la perdita di velocità di rotazione di un oggetto compatto. Un output energetico superiore al budget limitato di una stella di neutroni in rapida rotazione rivelerebbe un buco nero, indicando un progenitore di massa relativamente alta. Alternativamente, una non-rilevazione fornirebbe prove indirette di una stella di neutroni, indicando una massa del progenitore probabilmente inferiore a venti masse solari, come per Sn 1987A.
La potenziale rilevazione di onde gravitazionali delle Cc-Sne ben dentro l’universo locale ha infine stimolato lo sviluppo di nuovi algoritmi per captare segnali che fino a oggi erano sfuggiti e per realizzare un’integrazione profonda con l’astronomia elettromagnetica tradizionale. “Il nostro studio indica che l’attuale generazione di Lvk potrebbe rivelare che alcune supernove potrebbero, in effetti, essere più luminose nella loro emissione di onde gravitazionali di quanto creduto in passato”, spiega van Putten. “Questo pone l’astronomia delle onde gravitazionali all’avanguardia anche in settori come quello delle Cc-Sne, tradizionalmente terreno di caccia di astronomi “elettromagnetici””.
“Con l’entrata in funzione dei futuri rivelatori di nuova generazione, come il Telescopio Einstein nell’Unione europea e il Cosmic Explorer negli Stati Uniti, la missione spaziale Lisa e la missione satellitare di lampi gamma Theseus, il potenziale rappresentato da queste prospettive è immenso”, conclude Della Valle.