In Normandia, la patria del celebre formaggio Camembert, i ricercatori stanno lavorando su un progetto ambizioso: sviluppare una mucca del futuro che sia più piccola, alimentata principalmente a erba e con un impatto ambientale ridotto. La ricerca si svolge presso una vasta unità sperimentale di 340 ettari, gestita dall’Istituto Nazionale di Ricerca per l’Agricoltura, l’Alimentazione e l’Ambiente (INRAE), situata nelle valli del dipartimento dell’Orne, nella Francia occidentale.
La “mucca del futuro”
Qui, una squadra di circa venti persone tra tecnici e ingegneri si dedica alla gestione di una mandria di 600 bovini, monitorando costantemente vari parametri: dalla quantità di mangime ingerito, al livello di ingrassamento, fino alla composizione del latte. Particolare attenzione è riservata ai rutti dei bovini, responsabili dell’emissione di metano, uno dei gas serra più dannosi.
Secondo i dati della FAO, i bovini sono i principali responsabili dell’impronta di carbonio dell’allevamento, che contribuisce al 12% delle emissioni globali di gas serra attribuite alle attività umane. Con la crescita della popolazione mondiale e l’aumento della domanda di carne e latte, tali emissioni sono destinate a crescere ulteriormente.
Nel 2023, la Corte dei Conti francese ha esortato il Paese a “definire una strategia di riduzione” del numero di bovini (attualmente 17 milioni) per poter raggiungere gli obiettivi climatici nazionali. Tuttavia, tale proposta ha sollevato preoccupazioni tra i professionisti del settore agricolo. A questo proposito, il ricercatore Luc Delaby ha introdotto il concetto de “Il paradosso della mucca al pascolo”. “L’immagine dei ruminanti è peggiorata”, osserva Delaby, “ma allo stesso tempo si elogiano le praterie per il loro ruolo di stoccaggio del carbonio e di conservazione della biodiversità e della qualità dell’acqua”. Il paradosso risiede nel fatto che i ruminanti, sebbene inquinanti, sono essenziali per mantenere i prati che svolgono funzioni ecologiche fondamentali.
Le mucche in Normandia
In Normandia, le mucche da latte vengono fatte ruotare tra gli appezzamenti ogni dieci giorni, un approccio considerato “rigido” rispetto alle pratiche tradizionali che prevedono rotazioni più frequenti. Delaby spiega che l’obiettivo è di “dire alle mucche ‘Finisci il piatto prima di mangiare il dessert’”, sottolineando che “più breve è il pascolo, migliore è la ricrescita”.
Un’attenta gestione dei pascoli può ridurre la dipendenza dagli alimenti acquistati, come la soia sudamericana proveniente da aree deforestate. “Far mangiare l’erba alle mucche è una questione banale, ma estremamente complessa, perché bisogna trovarsi nell’appezzamento giusto al momento giusto. Un agricoltore di successo è un artista”, afferma Delaby.
Un altro progresso significativo nella riduzione delle emissioni di metano è legato alla genetica bovina. “Dal prossimo anno“, annuncia la ricercatrice Pauline Martin, “gli allevatori potranno inseminare le loro vacche sulla base di un ’indice di metano’”. Attraverso la selezione genetica, sono state individuate le caratteristiche che permettono ad alcune mucche di produrre meno metano rispetto ad altre razze, un potenziale che può essere trasmesso alle generazioni future.
“Si tratta di una vera e propria rivoluzione”, commenta Philippe Mauguin, direttore generale dell’INRAE. Tuttavia, per raggiungere l’obiettivo “ambizioso ma non irragionevole” di ridurre le emissioni di metano dei bovini del 30% entro il 2030, sarà necessario combinare più soluzioni, tra cui anticipare l’inizio della carriera delle vacche da latte e selezionare animali di dimensioni più piccole con minori emissioni meccaniche.