Era una fredda mattina d’inverno quando Zoë Goldsborough, studentessa laureata in psicologia e appassionata di primati, fece una scoperta che avrebbe cambiato il corso della sua ricerca. Moni, uno scimpanzé relativamente nuovo nello zoo olandese, era conosciuta per le sue difficoltà di integrazione con gli altri membri del gruppo. Gli scimpanzé, animali notoriamente sociali, si erano dimostrati particolarmente ostili nei confronti di Moni, che lottava per trovare un suo posto all’interno del gruppo. Ma quello che Goldsborough trovò quel giorno non era solo un episodio di disagio sociale: Moni era seduta su un ceppo d’albero, cullando tra le braccia un neonato immobile.
La reazione iniziale dei custodi fu di incredulità. Non erano a conoscenza della gravidanza di Moni, e inizialmente pensarono che stesse semplicemente giocando con della paglia. Tuttavia, quando si resero conto che il “giocattolo” di Moni era in realtà un neonato deceduto, furono costretti ad agire. Ma Moni, affranta e protettiva, non voleva separarsi dal suo piccolo. Questo episodio scatenò una serie di eventi che portarono alla riflessione su quanto, e come, gli animali comprendano la morte.
La conferenza di Kyoto
Nel giugno del 2024, oltre 20 scienziati si sono riuniti a Kyoto per la più grande conferenza mai tenuta sulla tanatologia comparata, il campo di studio che analizza come diverse specie animali affrontano e comprendono la morte. La tanatologia comparata ha una lunga storia, che risale ad Aristotele. Il filosofo greco, nel 350 a.C.E., descrisse i delfini che cercavano di proteggere un vitello morto per evitare che fosse divorato. Questa osservazione pionieristica ha gettato le basi per secoli di speculazioni e ricerche sulla consapevolezza della morte tra gli animali.
La conferenza di Kyoto ha cercato di andare oltre gli aneddoti e le osservazioni isolate. Gli scienziati hanno discusso le difficoltà nel raccogliere dati sistematici e nel comprendere la profondità della reazione animale alla morte. Nonostante la tanatologia comparata sia un campo in crescita, la raccolta di dati empirici resta complessa. Le reazioni alla morte variano notevolmente tra le specie, e molte risposte comportamentali sono influenzate da fattori esterni che possono essere difficili da isolare.
I limiti della ricerca
I ricercatori si trovano ad affrontare numerosi ostacoli quando cercano di studiare la morte negli animali. Le specie che mostrano risposte più significative alla morte sono spesso quelle con aspettative di vita più lunghe, come primati, cetacei ed elefanti. Tuttavia, la rarità di eventi di morte in queste popolazioni rende difficile raccogliere dati sistematici. Per esempio, Alecia Carter, antropologa evolutiva all’University College di Londra, ha studiato una colonia di macachi rhesus su Cayo Santiago. Anche se la colonia è ideale per la ricerca grazie alla sua struttura sociale e alla durata della vita degli individui, il numero di decessi in un periodo di studio è stato limitato, offrendo solo uno spaccato parziale delle reazioni animali.
Le reazioni die mammiferi alla morte
Le reazioni alla morte negli animali sono diverse e spesso complesse. Gli elefanti, noti per la loro longevità e complessa struttura sociale, mostrano comportamenti che suggeriscono un certo grado di lutto. In India, i corpi di cinque giovani elefanti sono stati trovati ricoperti di rami e terra, un comportamento che alcuni scienziati interpretano come un tentativo di sepoltura. Tuttavia, questa interpretazione è controversa e potrebbe essere spiegata come una risposta ai tentativi degli elefanti di scavare i corpi dai fossati in cui potrebbero essere caduti.
Gli scimpanzé, con il loro cervello altamente sviluppato, offrono un quadro particolarmente affascinante. Le osservazioni di Jane Goodall hanno documentato come gli scimpanzé si radunino intorno ai membri deceduti della loro comunità, toccandoli delicatamente e mostrando segni di lutto. Goodall osservò anche come uno scimpanzé di otto anni, profondamente colpito dalla morte della madre, morì poco dopo. Questi comportamenti suggeriscono una comprensione della morte che potrebbe essere più complessa di quanto inizialmente pensato.
Comprendere la morte
Il concetto di morte negli animali rimane in gran parte enigmatico. James Anderson, considerato uno dei pionieri nella tanatologia comparata, sostiene che gli scimpanzé, sebbene mostrino segni di lutto, non dimostrano una consapevolezza della propria mortalità simile alla nostra. Anderson osserva che non ci sono prove concrete di suicidio tra gli scimpanzé, suggerendo che la consapevolezza della propria mortalità potrebbe essere esclusiva dell’umanità.
La filosofa spagnola Susan Monsó, nel suo libro Playing Possum: How Animals Understand Death, esplora l’idea che molti animali possano condividere una comprensione basilare della morte. Tuttavia, senza un accesso diretto ai pensieri degli animali, è difficile confermare questa ipotesi. Le osservazioni sui comportamenti di gestione dei cadaveri tra insetti come le termiti mostrano risposte che sembrano istintive piuttosto che basate su una comprensione concettuale della morte.
La violenza della natura
Monsó suggerisce che gli animali carnivori, che affrontano la morte frequentemente e da vicino, potrebbero sviluppare una comprensione più profonda della mortalità. Tuttavia, André Gonçalves, esperto di tanatologia comparata all’Università di Kyoto, avverte che molte pratiche di predazione non indicano necessariamente una consapevolezza della morte. Per esempio, i grandi felini e i lupi, che mostrano atti di violenza intenzionale, potrebbero agire per motivi istintivi piuttosto che per una comprensione consapevole della morte.
Il caso di Moni e Tushi
Dopo l’incidente con il neonato di Moni, i custodi dello zoo decisero di isolare Tushi per evitare ulteriori conflitti. Questo periodo di separazione portò a una significativa trasformazione nel comportamento degli scimpanzé nei confronti di Moni. Quando Tushi fu reintegrata nel gruppo, Moni, che aveva lottato per socializzare, fu improvvisamente al centro dell’attenzione. Gli altri scimpanzé iniziarono a interagire con Moni in modi che non avevano mai fatto prima, offrendo affetto e supporto.
Questa trasformazione nel comportamento degli scimpanzé suggerisce che, sebbene non possiamo sapere con certezza se gli animali comprendano la morte come facciamo noi, le loro reazioni possono riflettere un certo grado di consapevolezza e risposta emotiva. L’interazione tra Moni e Tushi, in particolare, sembra suggerire che i legami tra gli animali e le loro risposte alla perdita possano essere più complessi di quanto si pensasse.