Ogni anno si registrano circa 12 milioni di nuovi casi di ictus, di cui oltre il 75% si verificano in paesi a basso e medio reddito. Con oltre 7 milioni di morti attribuibili all’ictus, che è la terza causa di morte a livello globale, l’epidemia di questa patologia continua a crescere. Tra il 1990 e il 2021, il numero di persone colpite da un nuovo ictus è aumentato del 70%, raggiungendo i 11,9 milioni nel 2021. Le morti da ictus sono aumentate del 44% nello stesso periodo, passando a 7,3 milioni nel 2021. Inoltre, la quantità complessiva di disabilità e malattia conseguente all’ictus è salita del 32%, passando da 121,4 milioni di anni di vita sana persi nel 1990 a 160,5 milioni nel 2021.
L’aumento dei casi di Ictus
Questi dati emergono da uno studio pubblicato su Lancet Neurology, basato sull’analisi del Global Burden of Disease, Injuries, and Risk Factors Study (GBD), che verrà presentato al World Stroke Congress ad Abu Dhabi a ottobre. L’ictus è altamente prevenibile e, nel 2021, l’84% del carico di ictus è stato attribuito a 23 fattori di rischio modificabili, tra cui inquinamento atmosferico, sovrappeso, ipertensione, fumo e inattività fisica. I fattori di rischio metabolici, come sovrappeso, pressione alta e colesterolo cattivo, contribuiscono al 66-70% del carico di ictus a livello globale nel 2021. Questi sono seguiti dai fattori di rischio ambientali come inquinamento, temperature estreme e esposizione al piombo.
Nel 2021, i cinque principali fattori di rischio globali sono stati identificati come la pressione alta, l’inquinamento da polveri sottili, il fumo, il colesterolo alto e l’inquinamento domestico. Inoltre, è emerso che l’inquinamento da polveri sottili rappresenta un fattore di rischio per l’emorragia subaracnoidea, una forma fatale di emorragia cerebrale, paragonabile al fumo di sigaretta.
“La rapida crescita del numero di persone che sviluppano ictus, muoiono o restano disabili a causa dell’ictus suggerisce fortemente che le attuali strategie di prevenzione non sono sufficientemente efficaci,” conclude Valery Feigin, autore principale dello studio e professore presso l’Università di Tecnologia di Auckland.