Importanti scoperte sui meccanismi delle profondità della Terra

Un team di scienziati della SUERC e della School of Geographical & Earth Sciences dell'Università di Glasgow ha scoperto importanti novità sui meccanismi della Terra profonda
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Un’analisi sofisticata di minuscole bolle di gas antico intrappolate nelle rocce vulcaniche, combinata con una nuova modellazione geofisica, ha gettato nuova luce su ipotesi di lunga data sulla Terra profonda. Un team internazionale di scienziati guidato da ricercatori della SUERC e della School of Geographical & Earth Sciences dell’Università di Glasgow, ha scoperto risultati sorprendenti in un nuovo studio sulle lave vulcaniche eruttate nel Mar Rosso dal pennacchio del mantello di Afar.

I pennacchi del mantello sono colonne di roccia insolitamente calda che salgono sulla superficie terrestre dal confine tra il nucleo e il mantello, 2.900 km sottoterra. Alimentano l’attività vulcanica ovunque si facciano strada verso la superficie, spesso con energia sufficiente a dividere i continenti.

L’attuale consenso scientifico è che i pennacchi trasportano materiale “primordiale” creato quando la Terra si è formata dal mantello profondo alla superficie. Se così fosse, le rocce vulcaniche formatesi quando quel magma è eruttato dovrebbero contenere tracce significative di materiale primordiale.

Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che le rocce vulcaniche dragate dal fondale del Mar Rosso contenevano invece concentrazioni di elio, un gas primordiale, molto basse rispetto a quelle richieste dai modelli prevalenti della Terra.

In un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Nature Communications Earth & Environment, il team conclude che il pennacchio di Afar è in realtà dominato da materiale che in precedenza si trovava sulla superficie terrestre.

Le loro scoperte, pubblicate come articolo sulla rivista, si basano sull’analisi della spettrometria di massa di campioni di vetro basaltico raccolti dal Mar Rosso e dal Golfo di Tagiura. L’analisi suggerisce che i pennacchi del mantello sono miscele complesse di mantello profondo primitivo e rocce dal fondale oceanico che sono state riciclate all’interno della Terra tramite un processo noto come “subduzione“.

Il vetro basaltico si forma quando la lava viene eruttata nell’acqua di mare e si raffredda rapidamente, intrappolando i gas inizialmente disciolti come bolle. Il team dello Scottish Universities Environmental Research Centre (SUERC) ha misurato i due isotopi dell’elio (elio-3 ed elio-4) nei gas intrappolati nei vetri del Mar Rosso mediante spettroscopia di massa ad alta sensibilità. Gli isotopi dell’elio registrano il contenuto di gas primordiale nei basalti. Lo studio ha dimostrato che il pennacchio di Afar sembra avere 10 volte meno elio primordiale di quanto dovrebbe avere se avesse avuto origine nel mantello profondo.

Ugur Balci, uno studente di ricerca post-laurea presso lo SUERC e autore principale del documento, ha affermato: “Il pennacchio del mantello di Afar è situato sotto una crosta sottile alla giunzione di tre placche tettoniche, il che lo rende un notevole laboratorio naturale per studiare le profondità della Terra. Il risultato sorprendente del nostro lavoro è che il pennacchio è in gran parte costituito da roccia che si trovava sulla superficie terrestre non più di 100 milioni di anni fa, il che sfida la comprensione prevalente di come si formano i pennacchi del mantello“.

Il team ha anche analizzato modelli di tomografia sismica per identificare il fondale oceanico subdotto più probabile all’interno della Terra, che potrebbe essere la fonte dell’impronta geochimica del pennacchio di Afar. La tomografia sismica è una tecnica simile alla risonanza magnetica che utilizza i terremoti per consentire agli scienziati di “guardare” all’interno della Terra.

Utilizzando queste informazioni, il team ha potuto farsi un’idea della posizione, dell’orientamento e della fonte superficiale del fondale marino subdotto e stimare la velocità alla quale è sprofondato per incontrare il pennacchio di Afar.

La dott. ssa Antoniette Greta Grima, della School of Geographical & Earth Sciences dell’Università di Glasgow, è una coautrice del documento. Ha affermato: “Le impronte isotopiche delle rocce ci forniscono una parte del quadro dei processi che hanno formato il pennacchio del mantello di Afar, e i modelli di tomografia sismica ci forniscono un’altra lente importante attraverso la quale potremmo comprendere l’interazione tra il mantello e l’antico fondale marino subdotto, a cui non possiamo accedere direttamente. I dati geochimici suggeriscono che il pennacchio in movimento verso l’alto interagisce con il materiale più giovane del fondale marino subdotto a 660 km sotto la superficie anziché con il materiale subdotto molto antico al confine tra il nucleo e il mantello come precedentemente ipotizzato. Utilizzando una combinazione di modelli di tomografia sismica, calcoli di affondamento della lastra e modelli di ricostruzione delle placche, abbiamo identificato il fondale marino subdotto e lo abbiamo collegato a un’attuale zona di subduzione attiva sotto i monti Zagros“.

Antoniette Greta Grima

Il professor Fin Stuart dello Scottish Universities Environmental Research Centre (SUERC) ha guidato il progetto e ha affermato: “I pennacchi del mantello sono stati riconosciuti per la prima volta all’inizio degli anni ’60. Sono fondamentali per il pianeta; guidano la tettonica a placche, raffreddano la Terra, portano in superficie elementi essenziali per la vita e sono la nostra migliore finestra sulla Terra profonda. Questo studio mette in discussione il paradigma prevalente secondo cui tutti i pennacchi trasportano la Terra profonda in superficie. La chiave per sbloccare questa nuova intuizione è stata quella di collegare l’esperienza di SUERC nella geochimica degli isotopi con la capacità di modellazione geodinamica della School of Geographical & Earth Sciences“.

Fin Stuart

Hanno contribuito al documento anche ricercatori dell’Istituto europeo per gli studi marini (IUEM) in Francia e della King Abdullah University of Science and Technology in Arabia Saudita. Il documento, intitolato “The origin and implications of primordial He-depletion in the Afar mantle plume“, è pubblicato su Nature Communications Earth & Environment.

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