Il rischio delle radiazioni spaziali è da tempo una preoccupazione cruciale per le missioni spaziali umane, soprattutto quelle di lunga durata. Un recente studio condotto da Stuart P. George e colleghi, intitolato “Space radiation measurements during the Artemis I lunar mission“, offre nuovi e significativi dettagli su questo argomento, gettando luce su come la navicella Orion abbia affrontato e misurato le radiazioni spaziali durante la missione Artemis I, che ha avuto luogo senza equipaggio.
Le radiazioni spaziali
Le radiazioni spaziali, che provengono da fonti diverse come raggi cosmici galattici, le cinture di Van Allen e gli eventi di particelle solari, rappresentano un serio pericolo per la salute degli astronauti. Queste radiazioni possono causare una serie di problemi di salute, tra cui cancro, cataratte e malattie degenerative. Durante le missioni spaziali, l’esposizione a radiazioni ad alta energia è un fattore critico da considerare, poiché i sistemi di protezione disponibili fino ad oggi sono limitati.
Fino ad oggi, le informazioni sulle radiazioni spaziali sono state raccolte principalmente dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e dallo Space Shuttle, entrambi in orbita terrestre bassa, dove sono protetti dallo scudo atmosferico e dal campo magnetico terrestre. Anche le sonde interplanetarie, come il Mars Science Laboratory e il Lunar Reconnaissance Orbiter, hanno fornito dati preziosi, sebbene limitati. I dati ottenuti dalle missioni Apollo e dalle misurazioni terrestri hanno contribuito a una comprensione generale, ma presentano notevoli limitazioni.
La missione Artemis I e la Navicella Orion
Il recente studio di George e colleghi si concentra sulle misurazioni delle radiazioni effettuate dalla navicella Orion durante la missione Artemis I, una missione lunare senza equipaggio progettata per testare i sistemi e le capacità della navicella. La navicella Orion, nota per il suo design avanzato e le sue schermature robuste, ha fornito un’opportunità unica per raccogliere dati preziosi sulle radiazioni spaziali.
Durante la missione, sono state registrate le radiazioni in diversi punti di schermatura all’interno del veicolo. I dati raccolti hanno rivelato una variazione significativa nei tassi di dose di radiazioni. In particolare, si è osservata una differenza fino a quattro volte nei tassi di dose durante i passaggi attraverso la fascia di protoni, paragonabile a eventi di particelle solari di grande entità. Questi dati rappresentano un avanzamento importante rispetto alle misurazioni precedenti e offrono una visione più chiara dei rischi associati alle radiazioni spaziali durante le missioni lontane dalla Terra.
Riduzione dei tassi di dose
Un aspetto interessante dello studio riguarda la riduzione dei tassi di dose di raggi cosmici interplanetari registrati dalla navicella Orion. I tassi equivalenti di dose sono risultati fino al 60% inferiori rispetto alle osservazioni precedenti, suggerendo che la schermatura della navicella sia stata particolarmente efficace nel proteggere l’interno dai raggi cosmici.
Inoltre, l’orientamento della navicella durante il transito attraverso la fascia di protoni ha avuto un impatto significativo sui tassi di dose. La modifica dell’orientamento ha portato a una riduzione dei tassi di dose di radiazioni di circa il 50%. Questo risultato indica che l’orientamento della navicella può giocare un ruolo cruciale nella gestione delle esposizioni alle radiazioni, e potrebbe avere implicazioni importanti per la progettazione delle future missioni spaziali.
Le misurazioni effettuate durante la missione Artemis I offrono dati preziosi che convalidano l’efficacia della schermatura della navicella Orion per future esplorazioni con equipaggio. Questi risultati sono fondamentali per migliorare la progettazione delle future missioni spaziali umane e per garantire una protezione adeguata contro le radiazioni spaziali. La capacità di gestire e ridurre i rischi associati alle radiazioni sarà cruciale per le missioni a lungo termine, come quelle verso Marte e oltre.