Lo scorso 21 agosto la petroliera Seunion battente bandiera Greca è stata attaccata dagli Houthi, il gruppo politico-militare sciita che controlla buona parte dello Yemen, mentre attraversava il mar Rosso. La nave a seguito degli attacchi è stata abbandonata dal suo equipaggio, tratto in salvo da una fregata francese della missione europea Aspides, lasciando l’imbarcazione e il suo contenuto alla mercé dei terroristi che nei giorni successivi sono tornati a bordo per far detonare delle cariche esplosive che hanno dato vita a degli incedi sul ponte principale.
La petroliera attaccata dagli Houthi trasporta 150mila tonnellate di petrolio greggio che se disperso in mare causerebbe un disastro ambientale e gravi danni economici per gli abitanti della zona. “Una fuoriuscita di petrolio di questa portata potrebbe essere virtualmente impossibile da contenere, contaminando vasti tratti di mare e di costa”, avverte Julien Jreissati, direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Greenpeace “l’impatto a lungo termine sulla biodiversità marina potrebbe essere devastante, poiché i residui di petrolio potrebbero persistere nell’ambiente per anni o addirittura decenni”.
Perché gli Houthi attaccano le navi in transito dal Golfo di Aden
Gli Houthi (o Huthi) sono un gruppo armato a prevalenza sciita che ormai da qualche anno controlla Sana’a, la capitale yemenita. Prendono il nome dal loro leader fondatore, Ḥusayn Badr al-Dīn al-Ḥūthī, ucciso dalle forze statali yemenite nel 2004. Il movimento armato nato verso la fine del secolo scorso è diventato sempre più potente tanto da minacciare oggi il traffico lungo il Golfo di Aden e nel mar Rosso.
I miliziani da mesi prendono di mira navi occidentali che ritengono legate a Israele, Stati Uniti o Regno Unito, sostenendo di agire in solidarietà con il popolo palestinese della Striscia di Gaza, nel contesto della guerra tra Israele e il movimento islamista palestinese Hamas.
Da novembre, gli attacchi degli Houthi hanno causato la morte di almeno quattro membri dell’equipaggio e l’affondamento di due navi, tra cui la Rubymar, una nave portarinfuse affondata a marzo con migliaia di tonnellate di fertilizzante a bordo. Tuttavia, la Sounion rappresenta la minaccia più grande ad oggi. “Questa situazione è un disastro ambientale che si sta lentamente svolgendo sotto i nostri occhi”, lamenta Wim Zwijnenburg dell’ONG PAX.
Perché i rimorchiatori non intervengono
Le compagnie private che avrebbero dovuto rimorchiare la nave con l’ausilio delle unita militari della missione Aspides hanno valutato che non era “sicuro” andare avanti nelle operazioni di recupero, ad annunciare tale decisione sono state fonti interne alla stessa missione Aspides che hanno precisato che sono al vaglio “soluzioni alternative” per il recupero dell’imbarcazione.
Con la Petroliera “pesantemente carica, immobilizzata e in fiamme, la situazione è estremamente pericolosa e imprevedibile”, ha dichiarato Julien Jreissati, aggiungendo che “il rischio di un grave disastro ambientale è alto, poiché la nave potrebbe rompersi o esplodere in qualsiasi momento”.