Con l’inizio del biennio 2023-2024, il tema dell’efficacia dei vaccini Covid-19 continua a essere al centro del dibattito globale, in particolare in merito alla capacità dei vaccini a mRNA di proteggere dall’infezione da varianti emergenti del virus. Un’analisi recentemente pubblicata dalla Cleveland Clinic ha alimentato ulteriori interrogativi, presentando dati che mostrano un’immagine complessa dell’efficacia del vaccino nel corso dell’ultimo anno.
In un recente thread su X (precedentemente Twitter), la dottoressa Tracy Høeg, MD, PhD, ha discusso i risultati dello studio della Cleveland Clinic, ponendo una serie di interrogativi sull’efficacia complessiva dei vaccini mRNA, in particolare contro l’infezione dalla variante JN.1. Vediamo più da vicino cosa ci dicono i dati e quali implicazioni potrebbero avere per il futuro delle campagne vaccinali globali.
I dati di partenza: un confronto tra vaccinati e non vaccinati
Lo studio della Cleveland Clinic ha osservato un gruppo di pazienti monitorati a partire dal 31 dicembre 2023 (Giorno 0 dello studio), con l’obiettivo di analizzare l’incidenza cumulativa di infezioni da Covid-19 tra coloro che avevano ricevuto il vaccino aggiornato del 2023-2024 e coloro che non erano stati vaccinati. I risultati iniziali, rappresentati graficamente attraverso linee blu e rosse per vaccinati e non vaccinati, suggeriscono una differenza marginale nell’incidenza delle infezioni tra i due gruppi.
Una delle osservazioni più discusse è che, nonostante la vaccinazione, i casi di infezione tra i vaccinati hanno continuato a verificarsi a un ritmo simile, se non superiore, rispetto ai non vaccinati. Questo fenomeno ha spinto Høeg e altri a interrogarsi sull’efficacia reale del vaccino nell’arginare l’infezione, soprattutto alla luce del dato secondo cui l’efficacia rettificata del vaccino è stata stimata al 23%.
Tuttavia, come osserva Høeg, questa cifra deve essere interpretata con cautela. Senza un’adeguata correzione per il numero di dosi di vaccino precedentemente ricevute, questa stima rischia di fornire un’immagine fuorviante della situazione.
L’effetto delle dosi precedenti sul rischio di infezione
Un elemento chiave emerso dallo studio è il ruolo delle dosi precedenti di vaccino mRNA. Sorprendentemente, i dati suggeriscono che quante più dosi di vaccino un paziente aveva ricevuto in passato, tanto maggiore era il suo rischio di contrarre il Covid-19 durante il periodo di studio. Questo dato è stato interpretato in due modi principali: da un lato, potrebbe trattarsi di un esempio di bias di selezione, dove i pazienti più vulnerabili e quindi più propensi a vaccinarsi finiscono per mostrare un tasso di infezione più elevato. Dall’altro lato, tuttavia, potrebbe indicare un problema intrinseco legato all’immunità indotta dai vaccini a mRNA.
Se non si corregge adeguatamente questo apparente aumento del rischio di infezione associato alle dosi precedenti, l’efficacia complessiva del vaccino 2023-2024 scompare del tutto. Di conseguenza, il vaccino sembra inefficace nel prevenire l’infezione, almeno in termini di incidenza non aggiustata.
Il dilemma dell’aggiustamento statistico
Quando i ricercatori hanno corretto i dati per il numero di dosi ricevute in precedenza, i risultati hanno mostrato un’efficacia leggermente migliore del vaccino nel prevenire l’infezione, ma solo in misura limitata. Tuttavia, anche in questo scenario “ottimistico”, emerge un quadro preoccupante: sembra infatti che più dosi di vaccino si ricevano nel tempo, più alto sia il rischio di contrarre il Covid-19 a lungo termine. Questo ha portato Høeg a concludere che, indipendentemente dall’interpretazione adottata, il vaccino non esce bene da questi dati.
In uno scenario, il vaccino non funziona contro l’infezione, e nell’altro, funziona solo parzialmente, con il rischio di esporre i vaccinati a infezioni più frequenti nel lungo periodo. Questo studio ha dunque aperto una discussione più ampia sulla necessità di dati più robusti e completi per comprendere l’efficacia reale dei vaccini mRNA, in particolare in un contesto di varianti in continua evoluzione.
Il ruolo della variante JN.1 e l’efficacia dei vaccini aggiornati
La variante JN.1, al centro dello studio della Cleveland Clinic, è una delle tante che hanno mostrato una capacità di sfuggire parzialmente all’immunità fornita dai vaccini precedenti. Le caratteristiche mutate di questa variante, unite alla possibilità che l’immunità indotta dai vaccini a mRNA si attenui più rapidamente di quanto inizialmente previsto, hanno contribuito a ridurre l’efficacia complessiva del vaccino.
Nonostante le previsioni iniziali di una maggiore protezione fornita dalle nuove formulazioni dei vaccini, i dati sembrano suggerire che la protezione contro l’infezione non sia significativa. Sebbene i vaccini possano ancora fornire una certa protezione contro le forme gravi di malattia e le ospedalizzazioni, la loro capacità di prevenire infezioni lievi o asintomatiche appare compromessa, soprattutto nelle persone che hanno ricevuto più dosi.
L’importanza di studi randomizzati e a lungo termine
La dottoressa Høeg sottolinea anche un altro punto critico: la mancanza di studi randomizzati, prospettici e a lungo termine sull’efficacia dei vaccini Covid-19. Mentre gli studi osservazionali come quello della Cleveland Clinic possono fornire dati preziosi, sono soggetti a potenziali bias che possono influenzare i risultati. Uno studio randomizzato, dove i partecipanti sono divisi in gruppi di controllo e vaccinati in modo casuale, offrirebbe una visione molto più chiara della reale efficacia del vaccino, sia contro l’infezione che contro le forme gravi della malattia.
Inoltre, sarebbe essenziale raccogliere dati non solo sull’incidenza delle infezioni, ma anche sui ricoveri e sui decessi legati a Covid-19 e ad altre cause, per comprendere meglio l’efficacia complessiva del vaccino nella prevenzione di eventi gravi.
I vaccini Covid-19 sono stati efficaci?
Guardando ai dati del 2023-2024, emerge un quadro complesso e in parte contraddittorio. Sebbene i vaccini mRNA sembrino ancora offrire una protezione limitata contro l’infezione, soprattutto nelle fasi iniziali, il loro effetto a lungo termine appare meno chiaro e potenzialmente problematico. L’aumento del rischio di infezione associato a un numero maggiore di dosi è un campanello d’allarme che richiede ulteriori approfondimenti.
La domanda resta: il vaccino Covid mRNA può ancora giocare un ruolo chiave nella lotta contro la pandemia, o siamo di fronte alla necessità di ripensare radicalmente la nostra strategia?