Nel corso degli ultimi tre secoli, una delle leggi basilari della fisica – la prima legge del moto di Isaac Newton, la cosiddetta legge di inerzia – è stata accolta, tramandata e insegnata quasi dogmaticamente come il fondamento dell’intero sistema dinamico che governa l’Universo. Tuttavia, recenti studi filologici hanno portato alla luce una revisione straordinaria, con potenziali implicazioni profonde per la nostra comprensione di ciò che Newton intendeva realmente affermare. Attraverso il lavoro del filosofo della Virginia Tech Daniel Hoek, emerge infatti una rilettura del testo originale latino che riaccende il dibattito sul significato autentico e sul valore della prima legge newtoniana.
Le leggi di Newton e la formulazione del moto universale
Isaac Newton pubblicò le Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica nel 1687, dando forma a tre leggi che avrebbero rivoluzionato la fisica, stabilendo un quadro teorico di riferimento per il moto degli oggetti e per la comprensione dei fenomeni naturali nel loro complesso. In particolare, la prima legge, conosciuta come legge di inerzia, ha sancito il principio che “un corpo persiste nel suo stato di quiete o di moto uniforme rettilineo a meno che una forza esterna non intervenga a modificarne tale stato.” Quest’affermazione, apparentemente chiara e definitiva, stabiliva l’inerzia come caratteristica intrinseca della materia, descrivendo la resistenza naturale dei corpi a ogni variazione di velocità o direzione.
Fin dall’inizio, la legge è stata interpretata come il riconoscimento della tendenza universale degli oggetti a mantenere il proprio stato di moto o quiete, in assenza di influenze esterne. Tuttavia, nel 1729, la prima traduzione inglese dei Principia, effettuata dall’accademico Andrew Motte, potrebbe aver inconsapevolmente alterato questo significato a causa di un errore di traduzione di un singolo termine latino: “quatenus.” Tale traduzione ha poi plasmato per secoli la visione della legge di inerzia, fino al punto in cui persino fisici e filosofi contemporanei raramente si sono interrogati sulla sua correttezza. Hoek, però, ha recentemente sollevato la questione con una nuova interpretazione che mette in discussione non solo la lettura tradizionale, ma anche la natura stessa dell’inerzia.
L’errore di “quatenus” e le sue conseguenze interpretative
Il termine latino “quatenus“, usato da Newton per qualificare la sua legge, è generalmente inteso come “nella misura in cui” piuttosto che “a meno che.” La distinzione, sebbene sottile, è concettualmente di enorme rilevanza. Hoek ha rilevato che questa piccola variazione potrebbe alterare profondamente la nostra comprensione del significato originale della legge: piuttosto che descrivere un mondo ipotetico in cui gli oggetti restano in quiete o in moto rettilineo senza l’influenza delle forze esterne, Newton sembrerebbe aver voluto sottolineare che ogni cambiamento nel moto di un corpo – ogni accelerazione, ogni decelerazione, ogni deviazione – è dovuto alla presenza e alla natura di una forza.
Secondo Hoek, questo implica che Newton intendeva affermare una legge valida anche in un mondo reale, permeato da forze costanti e inevitabili. L’errore di Motte nel tradurre “quatenus” ha indotto generazioni di studiosi a pensare che la prima legge si riferisse a un’inerzia pura, ideale e svincolata dalle influenze esterne, creando una dicotomia tra un Universo “teorico” e un Universo “fisico”, che Newton non avrebbe mai inteso. Come osserva Hoek, “rimettendo a posto quell’unica parola dimenticata, [quegli studiosi] hanno riportato uno dei principi fondamentali della fisica al suo splendore originale.”
Rileggere Newton: la prima legge come descrizione del mondo reale
L’interpretazione di Hoek ci porta dunque a considerare la prima legge di Newton non come un principio che si applica esclusivamente a un ipotetico stato ideale di inerzia, ma come un’osservazione sull’influenza universale e costante delle forze. Contrariamente alla visione tradizionale, in cui il moto rettilineo uniforme o la quiete assoluta erano concetti astratti e puramente teorici, Newton avrebbe potuto intendere la prima legge come una descrizione del comportamento degli oggetti reali, soggetti costantemente a influenze esterne.
Un esempio particolarmente eloquente fornito da Newton stesso riguarda una trottola: quando un oggetto rotante rallenta e si ferma a causa dell’attrito dell’aria, dimostra come il principio di inerzia continui a valere anche in un contesto in cui le forze sono presenti. Nonostante il rallentamento, il movimento della trottola rimane comprensibile solo alla luce della legge di inerzia, poiché è proprio l’interazione tra la rotazione e la forza dell’attrito a determinare la variazione del moto. Attraverso esempi come questo, Newton sembra aver voluto illustrare come la sua legge possa applicarsi ai corpi accelerati e soggetti a forze esterne, quindi a condizioni realistiche e osservabili.
George Smith, studioso e filosofo della Tufts University, ha espresso una prospettiva simile: “Il punto centrale della prima legge è quello di dedurre l’esistenza della forza.” Secondo Smith, Newton non stava cercando di definire una situazione priva di forze, ma piuttosto di dimostrare come ogni movimento e ogni cambiamento di stato siano indissolubilmente legati alla presenza di forze. In altre parole, il principio di inerzia non sarebbe quindi un’astrazione che descrive il moto in assenza di forze, ma una constatazione empirica che riconosce la loro influenza costante.
L’inerzia come principio universale: dalla fisica classica alla cosmologia
Interpretata in questo modo, la prima legge di Newton assume una portata ben più ampia, applicandosi non solo agli oggetti sulla Terra ma anche ai corpi celesti, le cui orbite e traiettorie rispondono anch’esse alla presenza di forze gravitazionali e altre interazioni cosmiche. Ciò significa che Newton non avrebbe distinto tra una legge valida solo per un mondo immaginario, ideale, e una legge applicabile alla realtà concreta. L’inerzia, secondo la nuova lettura di Hoek, diventa un principio che abbraccia tutto l’Universo, descrivendo come ogni particella, ogni pianeta, ogni galassia risponda alla presenza di forze e interazioni.
Hoek spiega che, alla luce della correzione interpretativa, Newton non stava descrivendo un moto teoricamente “puro”, ma un Universo dinamico, in cui la presenza stessa di una forza, per quanto impercettibile, influenza ogni aspetto del movimento. E, in effetti, la legge di inerzia si applica a ogni cambiamento di velocità e di direzione, come quando un pianeta devia la propria traiettoria a causa della forza gravitazionale esercitata da un’altra massa celeste. La Stazione Spaziale Internazionale, che viaggia a velocità elevatissime, si muove in un’orbita curva intorno alla Terra proprio a causa dell’azione costante della gravità.
Un dibattito accademico e l’implicazione della reinterpretazione
La rilettura di Hoek, benché affascinante, ha suscitato anche resistenze nella comunità accademica. “Alcuni trovano le mie letture troppo selvagge e non convenzionali per essere prese sul serio,” osserva Hoek, “altri pensano che sia così ovviamente corretto che non valga la pena discuterne.” La traduzione e l’interpretazione dei testi scientifici classici non sono solo esercizi accademici; costituiscono il fondamento di come comprendiamo i principi scientifici di base e di come li trasmettiamo di generazione in generazione.
Nel caso della legge di inerzia, l’errore di “quatenus” ha perpetuato per secoli una visione della fisica newtoniana che potrebbe non rispecchiare il pensiero autentico di Newton. In questa prospettiva, il compito degli studiosi diventa non solo quello di analizzare il contenuto delle leggi scientifiche, ma di restituirle al loro contesto originario e di esplorarne le possibili interpretazioni alternative. Questa rinnovata comprensione ci invita a rivalutare il ruolo delle forze e la natura stessa del moto, offrendo una visione più aderente a quella che potrebbe essere stata l’intuizione originaria di Newton.
Verso una visione fedele della fisica newtoniana
La reinterpretazione della prima legge del moto da parte di Hoek rappresenta un’opportunità per riscoprire l’eredità scientifica di Newton da una prospettiva nuova e più sfaccettata. L’errore di traduzione di Motte ci ricorda che la trasmissione del sapere scientifico non è mai neutrale e che ogni passaggio di interpretazione può alterare, seppur lievemente, il significato originario di un principio. E nel caso di una legge fondamentale come quella di inerzia, questo fraintendimento potrebbe avere influenzato il modo in cui generazioni di studiosi hanno pensato il moto e la sua natura.
Il lavoro di Hoek ci invita dunque a riconsiderare la storia della fisica non come un percorso unidirezionale verso una maggiore comprensione, ma come un processo dinamico, in cui ogni elemento, persino un termine mal tradotto, può influire profondamente sulla nostra visione del mondo.