L’Amazzonia, conosciuta come il “polmone verde del pianeta“, è sempre più vulnerabile a causa dell’espansione delle attività agricole e minerarie, che stanno conducendo a una progressiva frammentazione della foresta. A mettere in guardia su questa grave situazione è un recente studio della Rete amazzonica per l’informazione socio-ambientale georeferenziata (RAISG) e dall’Alleanza Amazzonica del Nord (ANA), evidenziando i rischi a cui questo prezioso ecosistema è sottoposto a causa dell’attività umana.
Analizzando dati satellitari raccolti tra il 1987 e il 2022 dal sistema MapBiomas Amazonas, i ricercatori hanno scoperto che “il 23% della copertura vegetale amazzonica è circondato da terreni agricoli, pascoli, miniere e strade”. Complessivamente, la deforestazione ha lasciato “193 milioni di ettari senza ‘connettività ecologica’”, ovvero senza i corridoi naturali che consentono le interazioni tra i diversi habitat. Gli esperti avvertono che ulteriori “108 milioni di ettari della più grande foresta tropicale del pianeta possano subire lo stesso destino”, con conseguenze drammatiche per l’ecosistema.
La frammentazione della foresta sta mettendo a dura prova la capacità degli ecosistemi amazzonici di regolare i cicli vitali dell’ossigeno, dell’acqua dolce e del clima globale. Inoltre, “la scomparsa dei corridoi ecologici impedisce agli animali di muoversi liberamente”, riducendo le loro possibilità di trovare cibo, accoppiarsi, migrare durante i periodi di siccità o fuggire dagli incendi boschivi. Secondo il rapporto, questa minaccia non solo compromette la sopravvivenza degli animali, ma anche l’intera catena ecologica, che va dalla dispersione di semi e polline alla regolazione dell’equilibrio delle popolazioni da parte dei predatori.
“Se i boschi sono scollegati e c’è un disturbo, ad esempio un incendio, è molto probabile che corrano il rischio di crollare, perché c’è meno connessione tra tutti gli anelli che compongono i processi di resilienza ecosistemica”, ha dichiarato Nestor Espejo, biologo che ha partecipato allo studio, in un’intervista con AFP. L’esperto ha aggiunto che la frammentazione della foresta “non solo trasformerà l’Amazzonia, un ecosistema forestale, in una savana”, ma potrebbe “accelerare il punto di non ritorno”.
Questo scenario non solo aggraverebbe la crisi climatica globale, ma colpirebbe direttamente i “47 milioni di abitanti del bacino amazzonico” nei Paesi coinvolti, tra cui Brasile, Perù, Bolivia, Colombia, Ecuador, Venezuela, Guyana, Suriname e Guyana francese, oltre alle popolazioni andine che dipendono dall’acqua che deriva da questa vasta area. I risultati della ricerca verranno presentati alla COP16, la conferenza sulla biodiversità, che si aprirà la prossima settimana a Cali, in Colombia.