In che modo i nostri antenati, già migliaia di anni fa, fronteggiavano i mutamenti climatici e i fenomeni atmosferici estremi? Quali strategie di adattamento sono risultate vincenti, e quanto le condizioni avverse contribuirono all’evoluzione tecnologica, alla creazione di nuovi modelli di sostenibilità e, più in generale, all’avanzamento culturale? Sarà un’occasione per leggere il presente guardando alle origini dell’umanità – anche attraverso reperti mai esposti al pubblico prima d’ora – la mostra che inaugurerà giovedì 2a4 ottobre a Firenze tra il Museo Archeologico Nazionale e il Museo di Antropologia e Etnologia nell’ambito dei 70 anni dalla fondazione dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, polo d’eccellenza per lo studio del più remoto passato dell’umanità riconosciuto dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Università e della Ricerca.
Protagonista la scoperta di un eccezionale sito preistorico nella Toscana meridionale, Poggetti Vecchi, che per 170.000 anni ha custodito i resti monumentali di una fauna estinta oltre ai più antichi strumenti in legno fabbricati dall’uomo mai rinvenuti finora in Italia. Un esempio emblematico di come l’essere umano si sia adattato a un ambiente in mutamento, alle soglie della penultima glaciazione, che col contributo di Regione Toscana e Fondazione CR Firenze, in collaborazione con Museo Archeologico Nazionale di Firenze e Sistema Museale d’Ateneo dell’Università di Firenze, sarà presentato al pubblico in un allestimento dal titolo “170.000 anni fa a Poggetti Vecchi.
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Ulteriori approfondimenti sul tema del cambiamento climatico nelle società del passato saranno al centro del convegno che vedrà convergere a Firenze da tutto il mondo più di 200 tra studiosi, docenti ed esperti di preistoria e protostoria – quella fase dell’umanità che occupa il 99% della storia dell’uomo, la più lunga in assoluto, che precede la nascita della scrittura.
Oltre 50 gli interventi in programma – su punti tra cui l’impatto delle popolazioni sull’ambiente, sulle risorse e sul paesaggio; l’evoluzione delle tattiche di adattamento; la mobilità dei popoli e l’importanza strategica di aree geografiche comunemente considerate estreme o marginali; i cambiamenti nella dieta, nei valori e nell’identità in base alla situazione ambientale; elementi di vulnerabilità e modelli di resilienza – frutto di un approccio multidisciplinare che intreccia Archeologia e archeobotanica, geoarcheologia e archeozoologia, antropologia e biologia molecolare per riportare alla luce, ad esempio attraverso l’analisi di pollini conservatisi per milioni di anni, di frammenti di dna o di sedimenti di terreno, il preciso aspetto e lo sviluppo di ecosistemi antichi, della flora e della fauna che li caratterizzavano e di come l’umanità li abbia attraversati, trasformandoli e trasformandosi.