Clima, parla l’esperto: “Ue cambi rotta su Green Deal, è follia ideologica e insostenibile”

Clima, parla Antonio D'Amato, presidente del gruppo Seda, leader mondiale del settore packaging per alimenti e già numero uno di Confindustria
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Gli Esg sono stati distorti da una visione woke del capitalismo che ha portato a strumentalizzare il concetto di sostenibilità“. La frase gli esce quasi di getto alla fine di un colloquio con il Foglio durante il quale Antonio D’Amato, presidente del gruppo Seda, leader mondiale del settore packaging per alimenti e già numero uno di Confindustria, spiega che l’Europa dovrebbe fare “un’inversione a U” sul modo in cui ha impostato la transizione energetica. Il suo è un ragionamento sulle prospettive del vecchio continente che, trovandosi al bivio tra leadership globale e declino, deve scegliere “strategie e percorsi” che lo rendano più competitivo su produzione, ricerca e innovazione.

E il Green deal non è l’approccio giusto. “Il rischio – dice D’Amatoè che la connotazione ideologica che ha caratterizzato l’approccio alle politiche ambientali nella passata Commissione possa essere ancora presente in questa legislatura, nonostante il nuovo Parlamento si mostri consapevole della necessità di un deciso cambio d’indirizzo“, si legge su Il Foglio. “(…) “Ovviamente, l’industria deve essere in prima fila nel continuare a migliorare la propria impronta carbonica e le industrie europee, in particolare quelle italiane, hanno fatti progressi straordinari negli ultimi venti anni. Tant’è che le emissioni dell’Europa rappresentano solo il 7% di quelle globali e continuano a essere in riduzione. Equesto è stato reso possibile da continui investimenti in innovazione e ricerca in piena neutralità tecnologica. Un approccio costruttivo che è stato negato dall’ambizione politica dell’Europa degli ultimi anni, che ha rincorso obiettivi tutt’altro che sostenibili per l’ambiente, l’economia e la società, al fine di compiacere i mercati azionari“. Un aspetto, quello finanziario, di cui si parla poco ma che è anche un po’ il cuore del problema. L’indirizzo del Green deal europeo è stato pienamente recepito, se non anticipato, dai grandi fondi internazionali che hanno selezionato soprattutto le società quotate, ma non solo, attraverso l’adozione dei criteri “Esg” (Environmental, social, governance).(…) “Negli ultimi cinque anni – prosegue D’Amatol’ideologia della transizione energetica ha perseguito il mito della decrescita felice, minando la competitività del sistema economico e industriale europeo e mettendo a serio rischio sia la tenuta sociale sia la stessa sostenibilità ambientale“, continua il giornale.

In pratica, la sostenibilità si è rivelata “insostenibile” per l’economia? “Esatto, perché sono state portate avanti massicce iniziative legislative che, in assenza di ogni neutralità tecnologica e soprattutto prive di ogni validazione scientifica del loro impatto ambientale, hanno fortemente compromesso intere filiere industriali, da quelle di base all’automotive, dall’agroalimentare al packaging e al farmaceutico, dalla chimica al tessile, senza dimenticare la tassonomia e l’Energia“. Per D’Amato occorre far leva su industrie di qualità, sostenibili e innovative, come ha messo in evidenza Mario Draghi nel suo rapporto sottolineando come negli ultimi anni le altre grandi potenze economiche del pianeta abbiano portato avanti politiche industriali spesso con l’obiettivo di renderci strutturalmente dipendenti da loro. (…) Le strade da percorrere? Per D’Amato sono tre: “Un cambio di passo nelle politiche dell’Unione europea per rilanciare crescita economica e reale sostenibilità ambientale; la scelta del nucleare come non più rinviabile e, infine, l’esportazione di know how, tecnologie ed economia circolare in paesi in via di sviluppo, a partire dal continente africano, di cui altri paesi stanno approfittando con logica colonizzatrice“, continua il giornale

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