Secondo un nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), le nazioni devono impegnarsi collettivamente a tagliare il 42% delle emissioni annue di gas serra entro il 2030 e il 57% entro il 2035 nella prossima tornata di contributi nazionali determinati (NDC) e a sostenerli con azioni rapide, altrimenti l’obiettivo di 1,5°C previsto dall’Accordo di Parigi sarà superato nel giro di pochi anni. UNEP rileva che se non si aumentano le ambizioni di questi nuovi NDC e non si inizia a realizzarli immediatamente, il mondo si avvierebbe verso un aumento della temperatura di 2,6-3,1°C nel corso di questo secolo. Ciò comporterebbe impatti debilitanti per le persone, il pianeta e le economie.
“Lo scenario di 2,6°C si basa sulla piena attuazione degli attuali NDC incondizionati e condizionati. L’attuazione dei soli NDC incondizionati attuali porterebbe a un riscaldamento di 2,8°C. Continuando con le politiche attuali si arriverebbe a 3,1°C di riscaldamento. In questi scenari – che hanno tutti una probabilità superiore al 66% – le temperature continuerebbero a salire nel prossimo secolo. L’aggiunta di ulteriori impegni a zero emissioni alla piena attuazione degli NDC incondizionati e condizionati potrebbe limitare il riscaldamento globale a 1,9°C, ma attualmente c’è poca fiducia nell’attuazione di questi impegni a zero emissioni“, si legge nella sintesi del rapporto.
“Il divario di emissioni non è una nozione astratta”, ha dichiarato António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, in un messaggio video sul rapporto. “Esiste un legame diretto tra l’aumento delle emissioni e i disastri climatici sempre più frequenti e intensi. In tutto il mondo, le persone stanno pagando un prezzo terribile. Emissioni record significano temperature del mare record che sovralimentano uragani mostruosi; il caldo record sta trasformando le foreste in polveriere e le città in saune; le piogge record stanno provocando inondazioni bibliche. Il rapporto di oggi sull’Emissions Gap è chiaro: stiamo giocando con il fuoco, ma non possiamo più giocare con il tempo. Non c’è più tempo. Colmare il gap di emissioni significa colmare il gap di ambizione, il gap di implementazione e il gap finanziario. A partire dalla COP29”.
Il rapporto esamina anche cosa sarebbe necessario fare per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C. Per questo percorso, le emissioni devono diminuire del 28% entro il 2030 e del 37% rispetto ai livelli del 2019 entro il 2035 – il nuovo anno miliare da includere nei prossimi NDC.
L’esortazione di Inger Andersen
“È arrivato il momento della crisi climatica. Abbiamo bisogno di una mobilitazione globale su una scala e un ritmo mai visti prima – a partire da ora, prima della prossima tornata di impegni sul clima – o l’obiettivo di 1,5°C sarà presto morto e ben al di sotto dei 2°C prenderà il suo posto nel reparto di terapia intensiva”, ha dichiarato Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP. “Esorto ogni nazione: basta con l’aria fritta, per favore. Sfruttate i prossimi colloqui della COP29 a Baku, in Azerbaigian, per intensificare l’azione ora, porre le basi per un NDC più forte, e poi andare fino in fondo per raggiungere un percorso di 1,5°C”.
“Anche se il mondo dovesse superare gli 1,5°C – e le probabilità che ciò accada aumentano di giorno in giorno – dobbiamo continuare a impegnarci per un mondo a zero emissioni, sostenibile e prospero. Ogni frazione di grado evitata conta in termini di vite salvate, economie protette, danni evitati, biodiversità conservata e capacità di ridurre rapidamente qualsiasi superamento della temperatura”, prosegue Andersen.
Le conseguenze di un’azione ritardata
Il rapporto evidenzia anche le conseguenze di un’azione ritardata. I tagli richiesti sono relativi ai livelli del 2019, ma da allora le emissioni di gas serra sono cresciute fino a raggiungere il livello record di 57,1 gigatoni di anidride carbonica equivalente nel 2023. Sebbene ciò faccia una differenza marginale rispetto ai tagli complessivi richiesti per il periodo 2019-2030, il ritardo nell’azione comporta la necessità di tagliare il 7,5% delle emissioni ogni anno fino al 2035 per 1,5°C e il 4% per 2°C. L’entità dei tagli annuali richiesti aumenterà con ogni anno di ritardo.
La riduzione delle emissioni
Il rapporto mostra che esiste un potenziale tecnico per ridurre le emissioni nel 2030 fino a 31 gigatoni di CO2 equivalente – pari a circa il 52% delle emissioni del 2023 – e 41 gigatoni nel 2035. Ciò consentirebbe di colmare il divario di 1,5°C in entrambi gli anni, a un costo inferiore a 200 dollari per tonnellata di CO2 equivalente.
Una maggiore diffusione delle tecnologie solari fotovoltaiche e dell’energia eolica potrebbe garantire il 27% del potenziale di riduzione totale nel 2030 e il 38% nel 2035. Gli interventi sulle foreste potrebbero fornire circa il 20% del potenziale in entrambi gli anni. Altre opzioni importanti sono le misure di efficienza, l’elettrificazione e il cambio di combustibile nei settori dell’edilizia, dei trasporti e dell’industria.
Questo potenziale – sottolinea UNEP – dimostra che è possibile raggiungere gli obiettivi della COP28 di triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030, raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030, abbandonare i combustibili fossili e conservare, proteggere e ripristinare la natura e gli ecosistemi. Tuttavia, per realizzare anche solo una parte di questo potenziale occorrerà una mobilitazione internazionale senza precedenti e un approccio globale, incentrato su misure che massimizzino i co-benefici socioeconomici e ambientali e riducano al minimo i compromessi.
Investimenti per la mitigazione
Per raggiungere lo zero netto è necessario un aumento di almeno sei volte degli investimenti per la mitigazione, sostenuto da una riforma dell’architettura finanziaria globale, da una forte azione del settore privato e dalla cooperazione internazionale. Si tratta di un obiettivo accessibile, spiega comunque l’UNEP: l’investimento incrementale stimato per l’azzeramento netto è di 0,9-2,1 trilioni di dollari all’anno dal 2021 al 2050.
“Investimenti che porterebbero un ritorno in termini di costi evitati dal cambiamento climatico, dall’inquinamento atmosferico, dai danni alla natura e dagli impatti sulla salute umana. Per contestualizzare, l’economia globale e i mercati finanziari hanno un valore di 110.000 miliardi di dollari all’anno“, si legge ancora nell’analisi.
I membri del G20, “responsabili della maggior parte delle emissioni totali, devono fare il lavoro pesante. I membri che emettono di più dovranno prendere l’iniziativa aumentando drasticamente l’azione e l’ambizione ora e nei nuovi impegni. I membri del G20, meno l’Unione Africana, rappresenteranno il 77% delle emissioni nel 2023. L’aggiunta dell’Unione Africana come membro permanente del G20, che più che raddoppia il numero di Paesi rappresentati da 44 a 99, fa salire la quota solo del 5% all’82% – evidenziando la necessità di responsabilità differenziate tra le nazioni. Un sostegno internazionale più forte – conclude UNEP – e il potenziamento dei finanziamenti per il clima saranno essenziali per garantire che gli obiettivi climatici e di sviluppo possano essere realizzati in modo equo tra i membri del G20 e a livello globale”.