Dragaggio: la pratica che ha prosciugato il futuro dei nostri fiumi

Piuttosto che apportare benefici, la rimozione di inerti dai letti dei fiumi ha innescato processi di incanalamento e scavo nei fondali
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La pratica di dragare i fiumi, ossia estrarre materiali inerti come sabbia e ghiaia direttamente dagli alvei fluviali, è stata una consuetudine diffusa in Italia tra gli anni ’60 e ’90. Tuttavia, gli effetti di queste operazioni, oggi oggetto di studi approfonditi, sono stati tutt’altro che positivi per i nostri corsi d’acqua. Il geologo Giulio Torri sottolinea, in merito, come l’intervento umano abbia avuto conseguenze rilevanti e durature sull’ecosistema fluviale e sulla sicurezza territoriale.

Piuttosto che apportare benefici, la rimozione di inerti dai letti dei fiumi ha innescato processi di incanalamento e scavo nei fondali, con il risultato di restringere le sezioni fluviali. Questi cambiamenti hanno ridotto la naturale capacità di deflusso dei fiumi, accelerando il trasporto delle piene verso le aree di bassa pianura e aumentando così il rischio di inondazioni. I fiumi e torrenti italiani, come il Secchia e l’Enza, mostrano chiaramente questi effetti: osservando le immagini comparative del 1954 e del 2023, si notano profonde alterazioni nella morfologia del territorio.

A confermare le osservazioni empiriche sul campo, vi sono anni di ricerca e studi scientifici dedicati all’argomento. Ad esempio, il Sistema di valutazione idromorfologica IDRAIM, sviluppato da ISPRA, si occupa proprio di analizzare, monitorare e valutare i cambiamenti idromorfologici dei corsi d’acqua. Questo sistema evidenzia come le alterazioni fisiche imposte dall’uomo abbiano portato a una trasformazione sostanziale dei fiumi italiani, con conseguenze che spesso non possono essere facilmente mitigate.

Queste modifiche imposte ai corsi d’acqua non sono prive di implicazioni per l’ambiente e la sicurezza: una volta “dragare” era pratica comune, ma i risultati sono oggi visibili e sotto gli occhi di tutti. La consapevolezza acquisita attraverso decenni di ricerca e osservazioni sul campo invita a ripensare le modalità di gestione dei corsi d’acqua, favorendo interventi che rispettino l’equilibrio naturale e contribuiscano a una gestione sostenibile del rischio idrogeologico.

È evidente che le pratiche del passato hanno contribuito a plasmare l’attuale conformazione dei nostri fiumi e torrenti. Ora, grazie all’apporto di esperti e istituti di ricerca, come ISPRA, abbiamo la possibilità di comprendere meglio queste dinamiche e di ripensare le strategie future. Solo attraverso un approccio consapevole e scientificamente informato potremo ridurre i rischi e preservare l’integrità dei nostri ambienti fluviali.

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