Ferite nello spazio: l’esperimento che svela come la microgravità rallenta la guarigione e altera i tessuti

"Il processo di guarigione delle ferite nello spazio è ritardato e alterato rispetto alla Terra"
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I risultati di uno straordinario esperimento internazionale, coordinato dall’Università di Firenze con il contributo di diverse aziende biomediche e atenei europei, offrono nuove prospettive su come la microgravità influisce sul processo di guarigione delle ferite. Il progetto, chiamato “Suture in Space“, ha dimostrato che nello Spazio le ferite guariscono più lentamente e il processo di riparazione dei tessuti risulta alterato rispetto a quanto avviene sulla Terra. Questo è uno dei dati emersi dalla ricerca, i cui risultati sono stati presentati a Milano in occasione dell’International Astronautical Congress, uno degli eventi più importanti a livello globale dedicati all’esplorazione e ai servizi spaziali.

La ricerca, che ha richiesto ben sette anni dalla fase di progettazione fino ai risultati finali, è stata guidata da Monica Monici, del Laboratorio Congiunto ASAcampus per la Biologia degli Stress Fisici presso l’Università di Firenze, in collaborazione con ASA (Arcugnano, Vicenza), azienda leader nella produzione di sistemi laser per applicazioni mediche e apparecchi per magnetoterapia. Il progetto è stato selezionato dalla European Space Agency (ESA) e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Numerosi istituti di ricerca e università italiane ed europee, come l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, hanno partecipato al progetto.

Durante la prima fase della ricerca, il Laboratorio Congiunto ha sviluppato modelli di ferite suturate basati su colture ex vivo di tessuti umani, come pelle e vasi sanguigni, grazie a una tecnica di coltura che ha mantenuto la vitalità dei tessuti per oltre quattro settimane. Il contributo dei chirurghi dell’Aou Careggi e del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze è stato fondamentale in questa fase. Nel novembre 2022, i campioni biologici sono stati inviati a bordo della navetta SpX 26 (Cargo Dragon 2), lanciata dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral, per essere portati sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), dove sono rimasti per nove giorni. La missione dei ricercatori al Kennedy Space Center è stata sponsorizzata da Revée Srl, azienda torinese leader nella produzione di dispositivi medici post-operatori.

Una volta sulla ISS, i campioni sono stati conservati a una temperatura di 32 gradi in un incubatore per quattro giorni, dopo i quali la metà dei campioni è stata congelata a meno 80 gradi. L’altra metà ha subito lo stesso trattamento dopo nove giorni. Il sofisticato hardware che ha permesso l’automatizzazione dell’esperimento nello spazio è stato progettato da Kayser Italia (Livorno) e OHB (Brema, Germania).

Terminata la permanenza nello spazio, i campioni sono stati riportati sulla Terra per la fase di analisi. In collaborazione con partner nazionali e internazionali – tra cui le Università di Milano, Siena, Molise, Amsterdam, Aarhus e Lucerna – i campioni sono stati distribuiti tra i vari gruppi di ricerca. ”Tutti i campioni biologici – ha spiegato Monica Monicisono stati divisi e condivisi con i diversi gruppi di ricerca italiani ed europei coinvolti nel progetto. Ciascuno ha effettuato sulle porzioni di tessuto analisi specifiche i cui dati sono stati raccolti ed elaborati per ottenere un quadro d’insieme dei risultati”.

Gli esiti della ricerca confermano le ipotesi preliminari: “Il processo di guarigione delle ferite nello spazio è ritardato e alterato rispetto alla Terra“, ha dichiarato Monici. “Uno degli obiettivi principali del progetto era quello di ottenere informazioni sulla fase di rimodellamento dei tessuti durante la guarigione. I risultati dimostrano che nello Spazio ci sono importanti cambiamenti nei rapporti quantitativi tra le varie componenti della matrice extracellulare, che si riflettono anche sulle sue proprietà meccaniche. La matrice extracellulare è la componente non cellulare dei tessuti e non solo è un supporto strutturale per le cellule ma anche trasmette loro stimoli biochimici e meccanici, quindi svolge ruoli di primaria importanza. Inoltre, si sono osservate alterazioni riguardanti l’attivazione di popolazioni cellulari coinvolte nel processo di guarigione delle ferite, come i fibroblasti e i cheratinociti“.

Questo studio rappresenta un significativo passo avanti nella comprensione di come le condizioni di microgravità influenzino la biologia umana e potrebbe avere implicazioni future per la medicina spaziale e la gestione delle emergenze mediche durante le missioni spaziali di lunga durata.

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