Un recente verdetto emesso dal tribunale di Siena ha riacceso il dibattito sull’obbligo di green pass nel contesto lavorativo, evidenziando le lacune della gestione pandemica in Italia. Questa vicenda è emersa da una causa intentata da un dipendente del Monte dei Paschi di Siena (Mps), che è stato sospeso dal lavoro per non aver presentato il certificato verde. La sentenza, che riconosce l’illegittimità della sospensione, offre un’analisi approfondita delle evidenze scientifiche che hanno guidato le scelte politiche durante la pandemia, come riportato da La Verità.
La vicenda del dipendente di Mps: lavoro e green pass
Il caso ha avuto inizio quando G.P., il dipendente coinvolto, è stato chiamato a rientrare in presenza presso la sede napoletana della banca a partire dal 2 novembre 2021, dopo un periodo di smart working. La Mps, in linea con le direttive governative, ha imposto l’obbligo di presentare il green pass per il personale rientrante in ufficio. Nonostante fosse pronto a tornare al lavoro, il 17 dicembre 2021 gli è stato negato l’accesso per mancanza di green pass. In questo contesto, l’azienda ha considerato la sua assenza come ingiustificata, privandolo dello stipendio fino al 2 maggio 2022. Rappresentato dall’avvocato Olga Milanese, G.P. ha quindi deciso di intentare causa contro la banca.
La sentenza del giudice sul green pass
Venerdì scorso, il giudice della sezione Lavoro del tribunale di Siena ha emesso una sentenza storica, la prima a favore di un dipendente privato nei confronti di un datore di lavoro privato. Le precedenti pronunce favorevoli riguardavano principalmente il settore pubblico. La motivazione della sentenza, composta da 39 pagine, offre un’analisi approfondita della legittimità delle misure imposte.
L’illegittimità dell’imposizione
Nella sentenza, il giudice ha dichiarato di condividere il principio solidaristico che giustifica limitazioni alla libertà individuale per la tutela della salute collettiva. Tuttavia, ha messo in discussione la ragionevolezza dell’imposizione del green pass, sottolineando che già nel 2021 erano disponibili evidenze scientifiche in grado di mettere in dubbio l’efficacia delle misure adottate. Il giudice ha esaminato diversi dati, tra cui le informazioni fornite dall’ECDC, che a gennaio 2022 confermavano che “la persona vaccinata può nuovamente essere contagiata e a sua volta contagiare“.
Inoltre, il caso del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha contratto il Covid nonostante fosse vaccinato, è stato utilizzato per dimostrare che il green pass non offriva la protezione sperata. La sentenza ha anche citato la deposizione di Janine Small, rappresentante della casa farmaceutica Pfizer, la quale aveva ammesso che il vaccino non era stato testato per bloccare il contagio, rendendo evidente la fallacia della narrazione ufficiale che sosteneva la necessità del green pass per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro.
Il ruolo della Corte Costituzionale
La sentenza di Siena rappresenta una sfida non solo per il Monte dei Paschi di Siena, ma anche per la Corte Costituzionale, che si riunisce oggi per discutere l’obbligo vaccinale per le forze dell’ordine. Nella pronuncia si ricorda che la Corte ha stabilito che le scelte legislative devono “essere soggette a una continua verifica” alla luce del mutamento delle evidenze scientifiche. Questo pone interrogativi significativi sull’obbligo di green pass e sull’efficacia delle politiche sanitarie adottate nel periodo pandemico.
L’irrazionalità delle misure adottate
La sentenza del tribunale di Siena ha fatto riferimento ai precedenti della Corte costituzionale, i quali avevano inizialmente sostenuto l’obbligo vaccinale, evidenziando la “discrezionalità del legislatore” nel decidere come prevenire le malattie infettive. Tuttavia, con il passare del tempo, l’argomento dell’esclusione dal diritto al lavoro per chi non fosse in possesso di green pass è stato messo in discussione. Il giudice ha osservato che, sebbene inizialmente le restrizioni potessero sembrare ragionevoli, successivamente si sono rivelate irragionevoli e persino pericolose, affermando che “come se affermassimo che un casco da motociclista protegga non solo chi lo indossi ma anche gli altri“.
Confronto con le evidenze internazionali
Questo caso in Italia si inserisce in un contesto più ampio, dove le decisioni di governo e le politiche sanitarie sono state messe in discussione da comitati e commissioni d’inchiesta in altre nazioni. Negli Stati Uniti, ad esempio, la commissione d’inchiesta del Congresso ha portato alla luce informazioni sulle origini del virus e sull’efficacia dei vaccini, un processo che in Italia è stato molto più lento, relegando la verità storica e scientifica in un cono d’ombra.
La continuità delle proteste sul green pass
Le proteste contro l’obbligo di green pass non si sono placate. I cittadini continuano a manifestare il proprio dissenso, e oggi un comitato si riunirà a Treviso per commemorare il “Giorno della vergogna“, in riferimento al 15 ottobre 2021, quando è stato introdotto l’obbligo di green pass sul posto di lavoro. Queste manifestazioni rappresentano una richiesta di giustizia e trasparenza, elementi fondamentali in un contesto di gestione pandemica che ha avuto ripercussioni significative sulla vita di milioni di cittadini.
La sentenza del tribunale di Siena e le sue implicazioni potrebbero rappresentare un punto di svolta nel dibattito sull’obbligo di green pass e sulla gestione della pandemia in Italia. La richiesta di trasparenza e di responsabilità da parte delle istituzioni è più forte che mai. La società si trova di fronte a una necessità urgente di rivedere le proprie politiche sanitarie, tenendo conto delle evidenze scientifiche e delle esigenze dei cittadini.
La questione dell’obbligo vaccinale per le forze dell’ordine, che verrà affrontata dalla Corte Costituzionale, sarà un ulteriore banco di prova per la giustizia italiana e per la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Sarà fondamentale che ogni decisione sia guidata da una chiara comprensione delle evidenze scientifiche e da un rispetto autentico dei diritti individuali, in un contesto in cui la salute pubblica e le libertà personali devono coesistere in modo armonioso e responsabile.