L’Italia sta intraprendendo un percorso ambizioso verso l’energia da fusione nucleare, una tecnologia che imita i processi che avvengono nelle stelle e potrebbe offrire una soluzione sostenibile per la transizione energetica. Il Paese è in prima linea grazie a due significativi esperimenti: Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor), un reattore sperimentale attualmente in costruzione a Cadarache, nel sud della Francia, e il Dtt (Divertor Tokamak Test), un progetto interamente italiano che è già in fase avanzata di realizzazione presso il centro Enea di Frascati. Entrambi i progetti vedono la collaborazione di numerose istituzioni pubbliche e dell’Eni, la principale azienda energetica italiana.
“Al momento, buona parte delle componenti e degli impianti di supporto sono già stati installati“, ha dichiarato Pietro Barabaschi, direttore generale di Iter, durante un convegno organizzato dall’Accademia Nazionale dei Lincei. Tuttavia, ha aggiunto: “Alcune componenti si sono, però, rivelate molto complesse da realizzare: certe, ad esempio, si sono rivelate non conformi e sono già in fase di modifica – afferma Barabaschi – e nello scudo termico sono state individuate delle perdite dovute a problemi di corrosione, che sono state già riparate. Tutto ciò sta facendo allungare i tempi previsti“.
Iter è riconosciuto come il progetto di fusione nucleare più importante a livello globale, coinvolgendo non solo l’Unione Europea, ma anche Stati Uniti, Russia, India, Giappone, Corea del Sud e Cina. L’obiettivo è dimostrare la fattibilità dell’energia da fusione. “Iter permetterà di testare diverse tecnologie – prosegue Barabaschi – e si propone di generare circa 500 megawatt di potenza“, equivalenti a 500 milioni di watt.
Dall’altro lato, il Dtt, sviluppato su iniziativa dell’Enea in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e i consorzi Create e Rfx, insieme a diverse università italiane, si concentrerà sulla ricerca di soluzioni per affrontare una delle sfide principali della fusione: il controllo e lo smaltimento del calore generato. “L’estrazione del calore è una delle sfide principali per un reattore a fusione, perché il flusso di energia è elevatissimo e si può verificare erosione, stress termico e danneggiamento“, ha sottolineato Francesco Romanelli, dirigente di ricerca dell’Enea e presidente del progetto Dtt, intervenuto all’evento dell’Accademia dei Lincei. “Dtt testerà soprattutto nuovi materiali, come i metalli liquidi. È già in fase avanzata di costruzione – aggiunge Romanelli – e contiamo di avere il primo plasma entro la fine del 2030“.
Entrambi i progetti, Iter e Dtt, utilizzano la fusione a confinamento magnetico, un approccio alternativo a quello ‘a confinamento inerziale’ che sfrutta la potenza dei laser. Questo metodo si avvale di potenti magneti in grado di generare campi magnetici centinaia di migliaia di volte più forti di quello terrestre, per controllare e confinare il plasma prodotto dalle reazioni di fusione. “Il plasma a temperature elevatissime può essere confinato grazie a campi magnetici, tramite una struttura a forma di ciambella che consente di intrappolarlo per un tempo sufficientemente lungo“, ha spiegato Ambrogio Fasoli del Politecnico Federale svizzero di Losanna, a capo del consorzio europeo Eurofusion, che comprende 29 paesi. “Dobbiamo aumentare i nostri sforzi – afferma Fasoli in merito alla ricerca sulla fusione – imparare a collaborare con l’industria e anche semplificare le procedure burocratiche per la costruzione di nuovi impianti in Europa“.