Nessuna traccia di fotoni oscuri: sfuma la speranza di svelare il mistero della materia oscura

"L'analisi ci ha permesso di cercare fotoni oscuri con masse così basse che non potevano essere visti in esperimenti sulle particelle"
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Nonostante le aspettative della comunità scientifica, nessuna prova di “fotoni oscuri” è stata rilevata nel bagliore residuo del Big Bang. Queste particelle ipotetiche, che potrebbero far parte di un nuovo regno di particelle non ancora identificate e potenzialmente in grado di spiegare la misteriosa materia oscura dell’universo, rimangono elusivamente introvabili. Lo conferma un recente studio pubblicato su Physical Review Letters.

La materia oscura costituisce l’85% della materia totale nell’universo, raggruppandosi in enormi aloni gravitazionali che hanno favorito la formazione delle galassie. Tuttavia, la sua natura rimane uno dei più grandi enigmi della cosmologia moderna. Molti modelli scientifici ipotizzano che essa sia formata da un unico tipo di particella sconosciuta. Tra i candidati più considerati ci sono le particelle massicce debolmente interagenti, note come WIMP. Tuttavia, né queste particelle né altre più leggere, come gli assioni, sono state rilevate fino ad oggi.

Alcuni fisici propongono che la materia oscura possa appartenere a un intero “settore oscuro” di particelle, che interagiscono tra loro attraverso forze proprie e sono debolmente collegate alla materia ordinaria. Tra queste forze ipotetiche potrebbe esserci una forma di elettromagnetismo oscuro, trasmesso da un fotone oscuro, simile al fotone ordinario ma privo di massa. Anche se il fotone oscuro non rappresenterebbe direttamente la materia oscura, potrebbe agire come “messaggero” di questo settore misterioso.

Un team di scienziati guidato da Fiona McCarthy, cosmologa presso l’Università di Cambridge, ha cercato di individuare un fenomeno opposto: la trasformazione dei fotoni ordinari in fotoni oscuri. Piuttosto che condurre l’esperimento in laboratorio, i ricercatori hanno utilizzato il cosmo stesso come scenario, analizzando i dati raccolti dalla sonda spaziale Planck dell’Agenzia Spaziale Europea, che ha mappato con precisione la radiazione cosmica di fondo (CMB) dal 2009 al 2013, e un catalogo di oltre mezzo miliardo di galassie, osservate dal Wide-field Infrared Survey Explorer della NASA.

Grazie a questa vasta mole di dati, il team ha cercato tracce di fotoni oscuri con masse così piccole da risultare invisibili nei normali esperimenti di fisica delle particelle. “L’analisi ci ha permesso di cercare fotoni oscuri con masse così basse che non potevano essere visti in esperimenti sulle particelle“, spiega McCarthy. Mentre i fotoni della CMB viaggiano nello spazio, la loro probabilità di trasformarsi in fotoni oscuri dovrebbe aumentare quando attraversano il plasma di elettroni che circonda gli ammassi di galassie.

I ricercatori hanno quindi cercato una diminuzione nel numero di fotoni della CMB, correlata alle direzioni in cui si trovano gli ammassi galattici, che avrebbe provocato un aspetto a chiazze nella mappa della radiazione cosmica. Tuttavia, per ottenere un’analisi accurata, è stato necessario considerare una serie di altri effetti che potevano alterare la CMB. Ad esempio, i fotoni della radiazione cosmica di fondo possono cambiare energia interagendo con gli elettroni, e questi ultimi, presenti nelle galassie lontane, possono emettere microonde proprie. Per distinguere questi fenomeni, il team ha fatto leva sul fatto che ciascuno di essi modifica lo spettro della CMB in modo diverso.

Nonostante le attente verifiche, il team non ha trovato alcuna prova di fotoni oscuri. “Sarebbe stato molto più sorprendente se avessimo trovato qualcosa“, ammette McCarthy. Tuttavia, sottolinea che l’analisi ha avuto un suo valore. “Dovremmo cercare la materia oscura ovunque possiamo“, conclude.

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