Cambiamenti climatici e conflitti bellici hanno effetti sempre più pesanti sull’economia internazionale e determinano una sensibile riduzione delle produzioni agricole, una impennata dei prezzi al dettaglio e un incremento della condizione di “insicurezza alimentare” nelle popolazioni. Lo afferma la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) che ha analizzato il fenomeno nel corso della prima conferenza internazionale di medicina ambientale organizzata in collaborazione con l’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti-Pescara.
Gli effetti deleteri delle ondate di calore e delle condizioni siccitose protratte nel tempo hanno causato, solo in Europa, una perdita complessiva della resa cerealicola tra il 7% e il 9% negli ultimi 50 anni – spiega Sima –. Se si estende il campo alla generalità dei cambiamenti climatici e agli eventi meteo estremi sempre più frequenti nel mondo, emerge come rispetto a 30 anni fa alcune produzioni alimentari abbiano subito perdite enormi: in media 69 milioni di tonnellate all’anno i cereali, 40 milioni la frutta, 40 milioni lo zucchero, 39 milioni la verdura, per un totale, solo per queste coltivazioni, che sfiora i 190 milioni di tonnellate all’anno.
A tale situazione si aggiungono gli effetti delle guerre in corso nel mondo – prosegue Sima – Ad esempio solo nell’aree orientali dell’Ucraina, circa il 18% dei terreni agricoli dal 2022 non sono stati coltivati a causa del conflitto, con un calo della produzione agricola tra il 2022 e il 2023 del 36% per il mais, del 35% per il grano e del 10% per i semi e l’olio di girasole. L’attuale escalation della crisi in Medio Oriente ha fatto invece impennare le quotazioni petrolifere del +6,5% in meno di tre giorni: petrolio più caro equivale a prezzi più alti in tutti i settori.
Le conseguenze di tale quadro si riflettono a cascata sulle quotazioni internazionali dei prodotti agricoli e, quindi, sui prezzi al dettaglio: in Italia tra il 2022 e il 2024 i listini dei generi alimentari sono rincarati del 21,1%. Nel biennio 2022-2023 farina e cereali hanno subito rincari complessivi del 25,9%, la pasta del 30,7%, il riso del 43,6%, l’olio di semi del 45,8%.
Minori produzioni determinano anche più fame nel mondo e più malnutrizione, soprattutto in quelle aree più povere del globo che sopravvivono grazie alle coltivazioni a basso costo: ad esempio nella Striscia di Gaza, secondo la ‘Famine Review Committee’, circa il 50% della popolazione (1,1 milione di persone) si trova attualmente in una condizione di gravissima insicurezza alimentare. In Sudan si contano 25,6 milioni di persone in stato di severa insicurezza alimentare, pari al 50% della popolazione, e ben 17 milioni in Yemen, tutti territori caratterizzati da gravi conflitti in atto.
“Esiste un nesso causale ben documentato tra cambiamenti climatici, conflitti e migrazioni – afferma Marcello Iriti, Responsabile sicurezza alimentare Sima e professore all’Università di Milano – Eventi meteorologici estremi e disastri naturali hanno un effetto diretto sui sistemi alimentari, sulla produzione di cibo e sui prezzi dei prodotti alimentari, così come le guerre. Si tratta, indubbiamente, di uno scenario estremamente complesso che richiede interventi altrettanto complessi e articolati, soprattutto dal punto di vista delle politiche estere, energetiche, economiche e alimentari”.