I pazienti con tachicardie ventricolari fino a ieri incurabili hanno un nuovo motivo di speranza: la radioterapia stereotassica (Radioablazione), grazie alla crescente integrazione con l’imaging cardiaco, si propone con maggior forza come nuova frontiera nella terapia, destinata a svilupparsi ed entrare nella pratica clinica anche per aritmie meno gravi. Lo conferma il lavoro, recentemente pubblicato su Heart Rhythm, rivista americana leader nel campo dell’aritmologia e elettrofisiologia, da parte di un gruppo di aritmologi e esperti di imaging cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino, coordinati da Corrado Carbucicchio, Responsabile dell’Unità Operativa Trattamento Intensivo delle Aritmie Ventricolari, e Gianluca Pontone, Direttore del Dipartimento Cardiologia Perioperatoria e Imaging cardiovascolare.
La radioablazione permette di raggiungere, con una sola seduta di trattamento e utilizzando solo fasci di radiazioni esterne, le zone aritmiche del cuore che non sarebbero raggiungibili con il trattamento standard di l’ablazione transcatetere, vale a dire la cauterizzazione delle aree aritmiche del cuore tramite un elettrocatetere inserito attraverso i vasi sanguigni o mediante accesso pericardico.
In sintesi il nuovo studio ora dimostra, con l’analisi dei dati di 35 pazienti sottoposti alla tradizionale ablazione transcatetere per gravi tachicardie ventricolari e utilizzando un approccio combinato endo-epicardico, la corrispondenza tra immagini TAC pre-procedura e caratterizzazione elettroanatomica eseguita durante la procedura. La Tac cardiaca si conferma dunque efficace nell’individuare le fibrosi del tessuto cardiaco che sono all’origine delle aritmie. Si definisce così il ruolo centrale dell’approccio combinato di imaging e elettrofisiologia per trattare le aritmie legate alle condizioni anatomiche più complesse, creando i presupposti per intervenire in modo più preciso anche quando si utilizza la radioterapia.
“Nella radioterapia l’imaging di centratura è molto complesso e nel trattamento delle aritmie ventricolari lo è ancora di più perché l’organo da trattare, il cuore, è in movimento. Sapere di disporre di una tecnologia efficace e sicura spiana la strada a un’estensione dell’applicazione della radioablazione” commenta Pontone.
Infatti è stato recentemente pubblicato sulla rivista Europace il Documento di Consenso delle Associazioni Europea e Statunitense di Aritmologia (EHRA e HRS), tra i cui Autori figura il Dr. Carbucicchio, che per la prima volta fornisce le raccomandazioni agli elettrofiosiologi per la gestione dei pazienti da sottoporre a radioablazione delle aritmie, per garantirne la massima sicurezza ed efficacia.
“La radioablazione delle aritmie cardiache rappresenta un campo molto stimolante anche per gli oncologi radioterapisti, che da anni utilizzano le radiazioni per il trattamento di alcune patologie benigne selezionate. Nel caso della radioablazione del cuore, la collaborazione tra radioterapisti e cardiologi è di straordinaria importanza, data l’estrema precisione richiesta. Sono infatti in corso diverse iniziative, sia a livello nazionale che europeo, per definire un consenso anche nella componente radioterapica” sottolinea la Prof.ssa Barbara Jereczek, Direttore della Divisione di Radioterapia dell’IEO (Istituto Europeo di Oncologia).
Il Monzino, insieme all’Istituto Europeo di Oncologia, ha aperto la strada in Europa alla radioablazione delle tachicardie ventricolari, promuovendo lo STRA-MI-VT (STereotactic RadioAblation by Multimodal Imaging for Ventricular Tachycardia), il primo studio sperimentale prospettico in Europa che misura scientificamente l’efficacia e la sicurezza della radioablazione, valutando anche gli effetti della tecnica sulla mortalità globale. “La tecnica è nata negli USA ed è riservata a pochi centri di eccellenza al mondo, dove i pazienti complessivamente trattati ad oggi sono poco meno di 200. Attualmente STRAMI sta concludendo l’arruolamento dei primi 20 pazienti, tutti affetti da grave cardiopatia e aritmie del tutto intrattabili, e l’analisi dei dati è ancora in corso. I risultati sul follow up a medio e lungo termine, già disponibili nella maggioranza dei pazienti, mostrano tuttavia un’efficacia stimata della radioablazione nell’80% dei casi. Sono pazienti che vivono un “effetto rinascita”: drastica riduzione degli episodi aritmici – e dei conseguenti shock del defibrillatore – e miglioramento della qualità di vita, senza evidenza di significativi effetti collaterali” spiega Carbucicchio.
“Ora intendiamo andare oltre, e dimostrare che la radioablazione può essere un’opzione efficace di cura non solo per i pazienti più gravi. Come sempre avviene negli studi per nuove cure, finora abbiamo trattato pazienti molto critici in cui questa strategia rimaneva l’unica possibilità di trattamento. Visti i risultati eccellenti, alla luce della possibilità di utilizzare la radioterapia in modo del tutto non-invasivo, pensiamo di poter proporre la radioablazione come alternativa all’ablazione convenzionale anche ai pazienti con cardiopatie meno critiche e forme aritmiche meno minacciose. Anche in questo senso il perfezionamento dell’imaging sarà ulteriore garanzia della sicurezza procedurale. Inoltre, stiamo studiando la possibilità di effettuare la radioablazione con i protoni, sfruttando la tecnologia e l’expertise dello IEO Proton Center” conclude Carbucicchio.