Le condizioni di microgravità all’interno della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) offrono un ambiente unico per lo sviluppo di tessuti umani nello spazio, in particolare quelli epatici, con risultati che potrebbero superare le tecniche tradizionali utilizzate sulla Terra. A evidenziarlo è uno studio presentato al Congresso Clinico dell’American College of Surgeons a San Francisco, condotto dagli scienziati dell’Università della California a San Francisco.
Il team di ricerca, guidato da Tammy T. Chang, ha esaminato gli esperimenti effettuati a bordo della ISS, mirati a testare nuovi approcci di ingegneria tissutale. Gli scienziati spiegano che il progetto prevede lo sviluppo di un bioreattore capace di conservare stabilmente i tessuti tramite superraffreddamento, un passo fondamentale per il trasporto sicuro di tessuti vitali sulla Terra. Questa ricerca potrebbe aprire la strada alla produzione di tessuti epatici derivati da cellule staminali, offrendo una potenziale alternativa ai tradizionali trapianti di fegato.
“L’approccio che stiamo esplorando – affermano gli scienziati – sfrutta l’ambiente di microgravità per superare le limitazioni delle tecniche attuali di ingegneria tissutale sulla Terra.” Le metodologie convenzionali, che utilizzano matrici artificiali per sostenere la crescita delle cellule, possono infatti introdurre materiali esterni, compromettendo la funzionalità cellulare. “I nostri dati – sottolinea Chang – suggeriscono che le condizioni di microgravità permettono lo sviluppo di tessuti epatici con una differenziazione e funzionalità superiori rispetto a quelli coltivati sul pianeta.”
Il processo inizia con la riprogrammazione di cellule umane come staminali embrionali, capaci di trasformarsi in vari tipi cellulari. Queste cellule vengono successivamente integrate in tessuti epatici in microgravità, che funzionano come organoidi di fegato, più piccoli e meno complessi rispetto a un fegato completo. A differenza delle tecniche tradizionali di ingegneria tissutale sulla Terra, che si basano su matrici esogene o piastre di coltura, la microgravità consente alle cellule di organizzarsi in modo naturale e libero, dando origine a tessuti più fedeli alla fisiologia umana.
Un elemento centrale del progetto è lo sviluppo del bioreattore “Tissue Orb“, progettato per facilitare l’autoassemblaggio dei tessuti nello spazio. Questo bioreattore è dotato di un vaso sanguigno artificiale e di uno scambio automatico dei media, simulando il naturale flusso sanguigno nei tessuti umani. Gli scienziati stanno anche studiando nuove tecniche avanzate di crioconservazione per il trasporto sicuro dei tessuti dallo spazio alla Terra. In particolare, la prossima fase del progetto prevede l’uso del superraffreddamento isocoro, un metodo di conservazione che mantiene i tessuti a temperature sotto lo zero senza danneggiarli.
“Il nostro obiettivo – conclude Chang – è quello di sviluppare tecniche di conservazione solide che ci consentano di riportare sulla Terra tessuti funzionali, utilizzabili per una vasta gamma di applicazioni biomediche, inclusa la modellazione delle malattie, i test sui farmaci e, in futuro, anche per impianti terapeutici.” Queste tecnologie potrebbero inoltre estendere la durata di conservazione dei tessuti ingegnerizzati e potrebbero persino essere applicate a interi organi, aprendo nuove possibilità nel campo dei trapianti.