Un recente studio condotto dall’Università del Wisconsin di Madison, con la collaborazione di ricercatori giapponesi delle Università di Shizuoka e Tokyo e del Research Center for Global Viral Diseases, ha esaminato il virus Hpai H5N1, un ceppo dell’influenza aviaria, in una variante identificata come huTX37-H5N1. Questo virus, isolato da un lavoratore lattiero-caseario negli Stati Uniti che aveva contratto l’infezione da bovini malati, è stato descritto come “letale in topi e furetti infettati in un laboratorio ad alto contenimento“. L’uomo, un addetto del settore lattiero-caseario, aveva sviluppato solo una lieve congiuntivite, ma gli scienziati hanno rilevato che il virus “potrebbe essere trasmesso tra i furetti attraverso l’aria” e “in grado di legarsi alle cellule delle vie respiratorie umane e di replicarsi“.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature e in gran parte finanziato dai National Institutes of Health (Nih) americani, evidenzia come alcune mutazioni, tra cui la PB2-E627K, rendano il virus più efficiente nella replicazione nei mammiferi. Secondo gli esperti, “la necessità di un monitoraggio e una valutazione continui dei virus dell’attuale epidemia di H5N1” è cruciale. Dal momento che huTX37-H5N1 “potrebbe essere in grado di replicarsi nelle cellule del tratto respiratorio umano“, e si è dimostrato “patogeno nei topi e nei furetti” e “trasmissibile per via respiratoria nei furetti“, gli autori dello studio avvertono che “si dovrebbe fare ogni sforzo per contenere i focolai di Hpai H5N1 nei bovini da latte e limitare la possibilità di ulteriori infezioni umane“.
Durante i test, i ricercatori hanno osservato che il virus huTX37-H5N1 si replica non solo nelle cellule della cornea umana ma anche in quelle polmonari. Nei topi, il virus ha infettato vari tessuti, con una concentrazione significativa nei polmoni. Infettando i furetti, che manifestano sintomi influenzali simili a quelli umani, i ricercatori hanno scoperto che tutti gli animali morivano entro cinque giorni dall’infezione, e il virus era presente in quantità elevate nei tessuti respiratori.
Lo studio ha approfondito la trasmissibilità respiratoria del virus: dei furetti sani, posti in gabbie vicine a quelle di furetti infetti, tra il 17% e il 33% sono stati contagiati attraverso goccioline respiratorie. “Un virus bovino Hpai H5 isolato da una persona infettata può trasmettersi fra mammiferi via droplets“, osservano i ricercatori, precisando però che l’efficienza della trasmissione è limitata.
In generale, i casi umani osservati durante l’epidemia nei bovini hanno manifestato sintomi leggeri, come la congiuntivite e lievi problemi respiratori. Gli scienziati ipotizzano che l’esposizione a basse dosi di virus potrebbe comportare una reazione limitata negli esseri umani, e che le frequenti esposizioni ai virus influenzali stagionali potrebbero offrire una protezione parziale. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per confermare questa ipotesi.
Quanto alle possibili terapie, il virus H5N1 bovino risponde ad alcuni antivirali, come il favipiravir e il baloxavir marboxil, appartenenti agli inibitori della polimerasi, e allo zanamivir, un inibitore della neuraminidasi. Tuttavia, il patogeno risulta meno sensibile all’oseltamivir, un altro farmaco della stessa categoria.
Il lavoro degli scienziati punta a sottolineare la necessità di monitorare costantemente questo virus in evoluzione e di mantenere contenuti i focolai nelle mucche, per prevenire rischi di infezione tra gli esseri umani e contenere un patogeno che potrebbe divenire un problema per la salute pubblica.