Il cambiamento climatico è una delle sfide più urgenti che l’umanità si trova ad affrontare nel XXI secolo. Le temperature globali continuano a salire e gli effetti del riscaldamento sono sempre più visibili, dalle ondate di calore e gli incendi boschivi, ai fenomeni atmosferici estremi e all’innalzamento del livello del mare. Tuttavia, quanto siamo effettivamente vicini alla soglia critica di riscaldamento globale di +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali? Secondo uno studio innovativo pubblicato su Nature Geoscience, gli scienziati potrebbero aver trovato una risposta più precisa, e la situazione potrebbe essere più grave di quanto ipotizzato finora.
Un nuovo approccio per misurare il riscaldamento globale
Lo studio condotto da Andrew Jarvis e Piers Forster si distingue per l’adozione di una metodologia unica: invece di basarsi esclusivamente sui dati recenti, i ricercatori hanno esteso l’analisi delle temperature globali fino a duemila anni fa. Utilizzando i dati dei nuclei di ghiaccio antartici, che custodiscono informazioni dettagliate sul clima passato, Jarvis e Forster hanno ricostruito le tendenze delle temperature superficiali globali e i livelli atmosferici di CO₂. Questi nuclei di ghiaccio rappresentano vere e proprie capsule temporali, intrappolando bolle d’aria che consentono di osservare i livelli di CO₂ e altre variabili climatiche nel corso dei millenni.
L’obiettivo dello studio era misurare l’impatto effettivo delle attività umane sul clima, stabilendo un punto di riferimento solido che preceda l’epoca preindustriale (1850-1900) solitamente utilizzata per calcolare l’aumento della temperatura. Gli autori ritengono che l’utilizzo di un arco temporale più lungo e di un approccio basato su una relazione lineare tra CO₂ e temperatura possa migliorare la precisione delle stime, consentendo di comprendere meglio quanto riscaldamento sia già stato causato dall’uomo.
La soglia critica di +1,5°C: quanto siamo vicini?
L’Accordo di Parigi, siglato nel 2015 da quasi tutti i Paesi del mondo, ha fissato l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, nella speranza di evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico. Questa soglia non è casuale: superarla potrebbe innescare fenomeni irreversibili nel sistema climatico, come la perdita delle barriere coralline, il collasso dei ghiacciai e l’intensificarsi di eventi climatici estremi.
Secondo le stime aggiornate di Jarvis e Forster, il riscaldamento causato dall’uomo avrebbe raggiunto già 1,49°C entro la fine del 2023. Si tratta di una stima preoccupante, che colloca il mondo a un passo dal superamento del limite di 1,5°C, più vicino di quanto molti scienziati avevano precedentemente ipotizzato.
Ripensare il basale preindustriale: una scelta cruciale
Il metodo tradizionale di valutazione del riscaldamento globale utilizza il periodo compreso tra il 1850 e il 1900 come riferimento preindustriale. Tuttavia, Jarvis e Forster sostengono che tale periodo non rappresenta adeguatamente le condizioni atmosferiche e climatiche precedenti alla rivoluzione industriale. Già alla fine del XIX secolo, le emissioni di CO₂ erano in crescita, e ciò significa che il sistema climatico stava già subendo modifiche a causa delle attività umane.
Per ottenere un quadro più accurato, i ricercatori hanno scelto un punto di riferimento risalente al periodo tra il 1300 e il 1700, quando i livelli di CO₂ erano relativamente stabili, intorno a 280 parti per milione (ppm). Questa scelta si basa sul fatto che in quel periodo il sistema climatico terrestre era ancora influenzato principalmente da fattori naturali. Utilizzando questa nuova base preindustriale, lo studio suggerisce che il riscaldamento complessivo causato dall’uomo potrebbe essere del 30% più certo rispetto alle stime ottenute con il metodo convenzionale.
Una relazione lineare tra CO₂ e temperatura: semplicità ed efficacia
Lo studio di Jarvis e Forster si concentra sulla relazione lineare tra l’aumento della CO₂ atmosferica e il riscaldamento globale. Dal 1850 a oggi, infatti, i dati mostrano che l’aumento delle temperature è strettamente legato alla concentrazione di CO₂ nell’atmosfera. Anche se altri fattori, come le variazioni solari, le eruzioni vulcaniche e le fluttuazioni climatiche naturali, influenzano il clima, i ricercatori ritengono che la relazione lineare tra CO₂ e temperatura sia sufficientemente robusta per stimare con precisione il riscaldamento indotto dall’uomo.
Secondo gli autori, questa relazione lineare potrebbe non rimanere valida in futuro, man mano che il riscaldamento globale continua e altre variabili climatiche diventano più rilevanti. Tuttavia, per l’intervallo temporale attuale, la linearità della relazione offre una chiave preziosa per monitorare l’evoluzione del clima.
Fattori non legati alla CO₂: un limite per l’approccio lineare?
Un limite riconosciuto dello studio è la sua incapacità di separare in modo chiaro l’effetto della CO₂ da altri fattori che possono influenzare il clima, come i cambiamenti nella radiazione solare e l’attività vulcanica. Tuttavia, Jarvis e Forster sostengono che il loro approccio lineare incorpori questi fattori indirettamente e che, pertanto, la relazione CO₂-temperatura rappresenti ancora un modello utile per monitorare il comportamento del sistema climatico.
Questo approccio è particolarmente rilevante nel contesto dell’Accordo di Parigi e degli sforzi globali per contenere il riscaldamento. Capire quanto siamo effettivamente lontani dal superamento della soglia di +1,5°C è cruciale per orientare le politiche climatiche dei prossimi decenni.
Implicazioni per il futuro e le politiche climatiche globali
Se, come suggerisce lo studio, il riscaldamento causato dall’uomo ha già quasi raggiunto i +1,5°C, le implicazioni per la politica globale sono notevoli. Limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C richiederebbe un’accelerazione senza precedenti degli sforzi di decarbonizzazione e un impegno immediato da parte di tutte le nazioni. Tuttavia, molti Paesi continuano a fare affidamento su combustibili fossili e le politiche di riduzione delle emissioni spesso si scontrano con interessi economici e politici.
Inoltre, il riscaldamento già avvenuto ha innescato una serie di fenomeni che potrebbero intensificarsi nel tempo. Lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello del mare e i cambiamenti nei pattern meteorologici sono solo alcune delle conseguenze tangibili di un riscaldamento di questa portata. Superare la soglia di 1,5°C potrebbe portare a conseguenze ancora più drammatiche, tra cui la destabilizzazione degli ecosistemi, la perdita della biodiversità e un aumento esponenziale delle migrazioni climatiche.
Un nuovo punto di partenza per la lotta al cambiamento climatico
Lo studio di Jarvis e Forster offre un contributo fondamentale alla comprensione dell’impatto delle attività umane sul clima, e i suoi risultati lanciano un monito importante. Se davvero abbiamo già raggiunto un riscaldamento di quasi +1,5°C, il tempo per agire è più limitato di quanto si pensasse. La comunità scientifica, i governi e i cittadini di tutto il mondo devono prendere atto della serietà della situazione e intraprendere azioni decisive per ridurre le emissioni di gas serra.
Questo studio rappresenta un nuovo punto di partenza per la lotta al cambiamento climatico. Con una comprensione più precisa del riscaldamento già avvenuto e un nuovo riferimento temporale preindustriale, gli scienziati possono ora monitorare con maggiore precisione l’evoluzione del clima e fornire indicazioni cruciali per orientare le politiche climatiche globali. Il tempo stringe e ogni frazione di grado di riscaldamento evitata può fare la differenza per il futuro del nostro pianeta e delle generazioni future.