Una nuova prospettiva pubblicata su Nature da Myles Allen e colleghi avverte che il conteggio dell’assorbimento passivo di CO₂ come rimozione attiva rischia di minare gli sforzi globali per contenere l’aumento delle temperature. Gli esperti propongono un radicale cambiamento nel modo in cui misuriamo e affrontiamo le emissioni di gas serra, sottolineando la necessità di un passaggio verso un Net Zero Geologico per evitare il fallimento degli Accordi di Parigi.
L’accordo di Parigi: una promessa globale a rischio
Nel dicembre 2015, a Parigi, 196 paesi hanno siglato un accordo storico per limitare l’aumento della temperatura globale a meno di 2°C, puntando a un obiettivo più ambizioso di 1,5°C. Questo impegno, celebrato come un trionfo della diplomazia e della scienza, è stato il primo accordo globale che ha riconosciuto la necessità urgente di azioni concertate per contrastare il cambiamento climatico. Tuttavia, otto anni dopo, l’ottimismo iniziale si sta scontrando con la dura realtà: il mondo è in ritardo e rischia di non raggiungere questi obiettivi. Alla base di questo problema vi è una questione metodologica spesso trascurata ma di importanza cruciale: il conteggio errato dell’assorbimento passivo di CO₂.
Il dibattito sulla contabilizzazione: attivo contro passivo
Uno dei pilastri centrali delle strategie di mitigazione del cambiamento climatico è la riduzione delle emissioni di CO₂, il principale gas serra responsabile del riscaldamento globale. Tuttavia, un aspetto spesso trascurato è come queste emissioni vengono bilanciate o “rimosse“. Nella contabilità climatica, esistono due modalità di rimozione della CO₂: l’assorbimento passivo e la rimozione attiva. L’assorbimento passivo si riferisce alla capacità naturale degli ecosistemi, come foreste, suoli e oceani, di assorbire CO₂ dall’atmosfera, un processo che si verifica indipendentemente dalle azioni umane. La rimozione attiva, invece, implica interventi umani diretti, come la cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), tecniche agroforestali o l’implementazione di soluzioni basate sulla tecnologia.
Il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), nelle sue relazioni di valutazione, esclude esplicitamente l’assorbimento passivo dalla sua definizione di rimozione delle emissioni antropogeniche, sostenendo che solo le attività umane dirette dovrebbero essere considerate. Tuttavia, molti governi e istituzioni utilizzano un approccio diverso, includendo l’assorbimento passivo nei loro inventari nazionali di gas serra se questo avviene su “terreni gestiti“, definiti autonomamente dai paesi. Questa discrepanza nei metodi di calcolo crea confusione e rischia di alterare significativamente la percezione dei progressi compiuti verso il raggiungimento del Net Zero.
Le implicazioni di un conteggio distorto
Secondo Myles Allen e i suoi colleghi, contare l’assorbimento passivo di CO₂ come rimozione attiva non solo distorce i dati, ma rappresenta anche un rischio per la pianificazione climatica globale. Quando i governi includono l’assorbimento passivo come se fosse una vera riduzione delle emissioni, si crea un’illusione di progresso che potrebbe portare a una riduzione degli sforzi per implementare tecnologie di rimozione attiva. In pratica, i paesi potrebbero credere di essere sulla buona strada per raggiungere i loro obiettivi climatici, quando in realtà stanno semplicemente facendo affidamento su processi naturali che sono sempre stati presenti, senza contribuire realmente alla riduzione delle emissioni.
Allen e colleghi suggeriscono che è necessario disaggregare le categorie di gestione del territorio nelle relazioni e negli obiettivi climatici per distinguere chiaramente tra l’assorbimento passivo e la rimozione attiva. Solo in questo modo si potrà ottenere una valutazione accurata degli sforzi di mitigazione, evitando di cadere nella trappola di una contabilità ingannevole che potrebbe mettere a rischio l’intero accordo di Parigi.
Proteggere i pozzi passivi di carbonio: un nuovo approccio
Uno degli aspetti più innovativi della prospettiva proposta da Allen e colleghi è la necessità di destinare risorse alla protezione dei pozzi passivi di carbonio, come le foreste pluviali, le torbiere e le zone umide. Questi ecosistemi sono fondamentali per il bilancio globale del carbonio, ma sono anche vulnerabili ai cambiamenti climatici e alla distruzione antropogenica. Gli autori propongono un nuovo meccanismo per incentivare la protezione di questi pozzi, riconoscendo il loro ruolo cruciale nella mitigazione del cambiamento climatico, ma evitando di confonderli con le rimozioni attive che richiedono un intervento umano deliberato.
Il concetto di Geological Net Zero: una proposta radicale
Per garantire che gli obiettivi climatici siano realmente raggiunti, Allen e colleghi propongono di adottare un nuovo concetto: il Geological Net Zero. Questo approccio va oltre il semplice bilanciamento delle emissioni e implica che per ogni tonnellata di CO₂ emessa dalle attività umane, una tonnellata equivalente venga rimossa in modo permanente attraverso il sequestro geologico. Il sequestro geologico prevede l’immagazzinamento del carbonio in formazioni sotterranee, dove rimane intrappolato per millenni, riducendo così il rischio di rilascio nell’atmosfera.
Gli autori stimano che entro la metà degli anni 2030, almeno il 10% delle emissioni di CO₂ ancora generate debba essere stoccato geologicamente, e che questa percentuale debba aumentare di dieci volte nei successivi vent’anni. Tale proposta, sebbene ambiziosa, è considerata dagli autori come una strategia realizzabile, a condizione che si investa ora nelle tecnologie e nelle infrastrutture necessarie.
La sfida degli investimenti e delle politiche globali
Il passaggio verso il Geological Net Zero richiede una trasformazione radicale delle strategie politiche e industriali. Attualmente, la maggior parte dei paesi e delle aziende adotta un approccio incrementale, cercando di ridurre gradualmente le emissioni attraverso misure di efficienza energetica e transizione verso fonti rinnovabili. Tuttavia, queste misure, sebbene importanti, non sono sufficienti per bilanciare le emissioni in modo permanente.
Secondo Allen e colleghi, è necessaria una collaborazione globale per sviluppare le infrastrutture per il sequestro geologico del carbonio. Questo include la creazione di un quadro normativo chiaro, incentivi finanziari e la promozione della ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie di cattura del carbonio. I governi dovranno inoltre affrontare le sfide politiche legate al consenso pubblico e alla distribuzione equa dei costi e dei benefici.
Un futuro incerto, ma con speranza
Il messaggio di Allen e colleghi è chiaro: la lotta contro il cambiamento climatico richiede un cambio di paradigma. Non possiamo più fare affidamento su processi naturali per compensare le nostre emissioni senza attuare strategie attive di rimozione. Se non si interviene con decisione, il rischio è quello di fallire nel raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, compromettendo il futuro del pianeta.
La prospettiva presentata su Nature rappresenta una chiamata urgente all’azione. È tempo di rivedere le nostre metriche, investire nelle tecnologie di rimozione attiva e adottare una visione a lungo termine che includa il Geological Net Zero. Solo così sarà possibile garantire un pianeta abitabile per le generazioni future, preservando gli ecosistemi naturali e stabilizzando il clima globale.