Nel Mar Caspio, il lago più grande del mondo, galleggia la città di Neft Daslari. ”Rocce di petrolio”, questo il significato del suo nome, è un groviglio di pozzi petroliferi e siti di produzione collegati da chilometri di ponti a circa 95 chilometri dalla costa della capitale dell’Azerbaigian, Baku, e a diverse ore di navigazione dalla terraferma. Gli azeri, che da domani al 22 novembre ospitano la Cop29, la conferenza dell’Onu sul clima, la definiscono con orgoglio l”ottava meraviglia del mondo’. Considerata dal Guinness dei primati la più antica piattaforma petrolifera offshore del mondo, Neft Daslari al suo apice contava più di 5.000 abitanti. Negli ultimi decenni, tuttavia, la popolazione è diminuita, e diverse sezioni sono cadute in rovina fino a sprofondare nel mare. La piattaforma rimane stoicamente in funzione, anche se la sua esistenza è paradossalmente minacciata dalla lotta alla crisi climatica, con i partecipanti della Cop29 pronti a discutere delle modalità per discostarsi gradualmente dai combustibili fossili.
”Rocce di petrolio” nacque in epoca sovietica. Alla fine degli anni ’40, i lavoratori del settore petrolifero sbarcarono su un’isoletta e costruirono un impianto di perforazione e una piccola casa per l’alloggio. Dal primo pozzo esplorativo perforato nel 1949 emerse una fontana di ”oro nero”. Nel 1951 tornò a terra la prima nave cisterna carica di petrolio, e così partì la costruzione di una vera e propria città, sostenuta da pali metallici piantati nel fondale marino e arroccata a diversi metri di altezza. A lavori ultimati era composta da quasi 2.000 pozzi e circa 320 siti di produzione, collegati da più di 120 chilometri di ponti e oltre 70 chilometri di oleodotti e gasdotti. A proteggere i pozzi da vento e onde ci sono le carcasse di sette navi abbandonate. “Alcune di queste navi sono visibili sulla superficie dell’acqua dove sono state sepolte” ha dichiarato alla Cnn Mirvari Gahramanli, direttore dell’Organizzazione per la Protezione dei Diritti dei Lavoratori del Petrolio.
Neft Daslari
Neft Daslari è oggi una vera e propria cittadina, con blocchi di alloggi per i lavoratori, una panetteria, un teatro con centinaia di posti a sedere, negozi, strutture mediche, un campo da calcio e un eliporto. Sulle strutture in acciaio sono stati piantati persino alberi e un parco. Gli azeri la chiamano ”l’ottava meraviglia del mondo”, ha detto Gahramanli. Altri la chiamano ”l’isola delle sette navi”, per via delle imbarcazioni affondate che la circondano. Era un gioiello della produzione petrolifera del Caspio e ha prodotto quasi 180 milioni di tonnellate di petrolio nei suoi 75 anni di vita, secondo la compagnia petrolifera statale azera Socar, che possiede e gestisce il giacimento. Al suo apice, nel 1967, ha pompato la cifra record di 7,6 milioni di tonnellate. Ma la sua importanza è diminuita negli ultimi decenni con l’apertura di giacimenti più grandi e la fluttuazione dei prezzi del petrolio.
Con il calo della produzione di petrolio, la popolazione della città si è ridotta a circa 2.000 persone, con i lavoratori che di solito fanno turni di 15 giorni in mare e poi 15 giorni a casa sulla terraferma. La lunga storia di ‘Rocce di petrolio’ potrebbe essere quasi al capolinea. L’organizzazione di Gahramanli ha sollevato per anni preoccupazioni per l’inquinamento causato da Neft Daşları, segnalando versamenti di acque reflue non trattate pompate nel Mar Caspio. Socar fa sapere che i sistemi chiusi vengono utilizzati per far circolare, immagazzinare e smaltire tutti i fluidi derivanti dalla produzione di petrolio. ”Negli ultimi 20 anni è stato fatto un programma di lavoro significativo per prevenire l’inquinamento del mare causato dai vecchi pozzi”, hanno spiegato. Nonostante il declino della città, Socar ritiene che Neft Daşları rimanga ”una risorsa attiva con un ruolo unico” per l’Azerbaigian, aperta anche agli stranieri che vogliono visitarla.
La situazione dell’inquinamento
Gahramanli ha ammesso che la situazione dell’inquinamento è migliorata in vista della Cop29 di Baku, dove i leader mondiali si riuniranno per discutere della crisi climatica causata dall’utilizzo di combustibili fossili. Da tempo ci si chiede cosa ne sarà di questa enorme città acquatica quando il petrolio si esaurirà, e decisioni difficili attendono le autorità: smantellare la città con costi enormi, trasformarla in un luogo di villeggiatura o semplicemente abbandonarla, ”aprendo la strada a un grave disastro ecologico”. Per ora la città rimane, ancora produttrice di petrolio, un simbolo arrugginito di un’industria in lento declino.