Chi l’avrebbe mai detto? Anche nel mondo delle anguille, la diversità è resilienza. A rischio di estinzione a causa della pesca illegale e di altre molteplici minacce, questi pesci dalla caratteristica forma che ricorda un serpente, sembrano però avere un “asso nella pinna”: comportamenti migratori dissimili che li aiutano ad adattarsi colonizzando habitat distinti. Ed è proprio questa varietà di strategie che potrebbe fare la differenza per la loro conservazione.
Un recente studio condotto dall’Università di Ferrara, insieme all’Università di Padova e all’Istituto di biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (Cnr-Ibf), ha, infatti, scoperto che non tutte le anguille si comportano allo stesso modo durante la migrazione. Alcune sono esploratrici instancabili, pronte a risalire forti correnti, altre sono più “scalatrici”, esperte nel superare barriere come dighe e sbarramenti. Un bel vantaggio, visto che questo approccio individualizzato riduce la competizione per le risorse e aumenta le probabilità di sopravvivenza della specie.
La ricerca, che offre nuove prospettive per comprendere meglio le esigenze ecologiche delle anguille e contribuire alla loro tutela, è stata pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).
Dalla schiusa delle uova nel lontano Mar dei Sargassi, le larve di anguille europee, trasparenti e a forma di foglia di salice, vengono trasportate dalle correnti marine attraverso l’Oceano Atlantico e, dopo aver superato lo Stretto di Gibilterra, raggiungono ogni anno le nostre coste. Ma qui non finisce la loro straordinaria avventura: le larve si trasformano in piccole anguille, note come “ceche”, pronte a vivere in acque dolci e a diventare nuotatrici attive.
Una volta giunte alle foci dei fiumi, le ceche iniziano la risalita, spingendosi sempre più a monte fino a trovare l’habitat ideale per la crescita e la maturazione sessuale. Questo percorso fluviale è pieno di ostacoli: le giovani anguille devono superare barriere naturali e artificiali come dighe e sbarramenti, imparare a evitare predatori, cercare nuove fonti di cibo e infine individuare i luoghi più adatti alla loro crescita e sopravvivenza. E come riescono a farlo? Semplice: ciascuna con la propria strategia.
Secondo il team di ricerca, che ha condotto una serie di osservazioni su un gruppo di ceche campionate nel delta del Po, questa diversità di comportamento – o “personalità migratorie” – è un elemento cruciale per la sopravvivenza della specie.
“Contrariamente a quanto si pensa, una migrazione non è sempre un movimento coordinato di massa”, spiega Paolo Domenici, ricercatore del Cnr-Ibf. “In alcune specie, per esempio, ci sono individui che migrano prima, seguiti da altri, o individui che scelgono di non migrare ogni anno. È il caso del salmone, dove alcuni individui maturano nei fiumi e nelle loro foci, mentre altri si spostano fino al mare aperto. Nello studio sulle anguille, ci siamo concentrati proprio su queste differenze”.
Le anguille campionate nel fiume Po sono state collocate in vasche sperimentali che simulavano l’ambiente fluviale. In metà degli esperimenti il flusso d’acqua era continuo, mentre nell’altra metà era presente uno scivolo d’acqua, a imitare una barriera come uno sbarramento o una diga. I risultati hanno mostrato che alcuni individui erano molto abili nel risalire il flusso continuo, ma trovavano difficoltà con le barriere; al contrario, altri individui avevano successo sugli sbarramenti ma faticavano nel flusso d’acqua. Il gruppo di ricerca ha, dunque, concluso che le anguille adottano strategie migratorie diverse, che potenzialmente permettono ai diversi individui di raggiungere habitat distinti del fiume.
Gaia De Russi, dottoranda del Dipartimento di Scienze della vita e biotecnologie di Unife, spiega: “Distribuirsi in ambienti diversi non solo aiuta a ridurre la competizione per le risorse, ma offre anche una garanzia: se un habitat diventa inospitale, ci sono anguille in altri luoghi che possono sopravvivere e mantenere viva la specie”. “È interessante notare”, continua De Russi, “come le anguille, a seconda delle loro diverse modalità migratorie, mostrino differenze significative anche in altri aspetti, rivelando vere e proprie ‘personalità migratorie’. Per esempio, gli esemplari che eccellono nel superare barriere tendono a crescere più lentamente, a essere meno esplorativi, ma imparano più rapidamente a risolvere i problemi legati alla ricerca del cibo. Queste diverse strategie individuali fanno sì che ciascun tipo di anguilla finisca per colonizzare habitat differenti lungo il sistema fluviale. Quando le anguille raggiungono l’età adulta, le attende un’altra straordinaria migrazione, questa volta verso il Mar dei Sargassi, per la riproduzione. Anche questo viaggio, probabilmente, sarà affrontato in modi diversi da ogni individuo, anche se al momento non abbiamo dati su questo aspetto”.
“La popolazione mondiale di anguille è in declino”, aggiunge Giuseppe Castaldelli del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione di Unife, che con il suo gruppo di ricerca in Ecologia monitora la risalita delle ceche nel fiume Po nell’ambito del Progetto Lifeel. “Lo vediamo dal numero sempre minore di ceche che riusciamo a campionare nelle foci e di piccole anguille in risalita nei nostri fiumi. Un tempo, alcuni di questi animali raggiungevano perfino i laghi morenici ai confini con la Svizzera. È stupefacente quanto poco ancora conosciamo di questa migrazione, la cui comprensione è sicuramente importante per designare al meglio le strategie e gli interventi per la conservazione e protezione delle anguille”.
Il professor Tyrone Lucon-Xiccato del Dipartimento di Scienze della vita e biotecnologie riassume: “Spesso pensiamo che per proteggere la biodiversità sia sufficiente salvaguardare le differenti specie. Il nostro studio dimostra che non basta: la biodiversità include anche le differenze comportamentali all’interno di una singola specie, come le diverse strategie migratorie che osserviamo nelle anguille. Sarà importante garantire non solo che le anguille continuino a risalire i nostri fiumi, ma che la popolazione mantenga questa diversità migratoria che consente loro di colonizzare molteplici habitat”.
Hanno contribuito allo studio Gaia De Russi, Mattia Lanzoni, Giuseppe Castaldelli, Cristiano Bertolucci, e Tyrone Lucon-Xiccato dell’Università di Ferrara, Angelo Bisazza dell’Università di Padova, e Paolo Domenici dell’Istituto di biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ibf).