Gas o GNL? Il grande inganno della transizione energetica

“Ci vuole molta energia per estrarlo dal suolo, liquefarlo e trasportarlo”
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Il gas naturale liquefatto (GNL) è frequentemente descritto come una fonte energetica “di transizione”, destinata a sostituire il carbone, noto per il suo alto inquinamento. Tuttavia, l’impatto del GNL sul clima è aggravato da una produzione ad alta intensità energetica e dalla frequente dispersione di metano nell’atmosfera. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la domanda globale di gas è prevista in aumento di oltre il 2,5% nel 2024, raggiungendo un nuovo massimo storico, soprattutto per la necessità di GNL.

Il GNL, molto ricercato in Europa per sostituire il gas russo nei gasdotti, sta attirando anche l’interesse dei Paesi asiatici in crescita. Il gas, raffreddato a -163°C per essere liquefatto, occupa uno spazio 600 volte inferiore rispetto alla sua forma gassosa, rendendolo facilmente trasportabile tramite navi cisterna. L’industria petrolifera e del gas afferma che le centrali elettriche a gas emettono emissioni “due volte e mezzo” inferiori a quelle a carbone. Tuttavia, scienziati e attivisti per il clima richiedono un’analisi dell’intera catena di produzione del gas e del GNL, piuttosto che concentrarsi solo sul bilancio di combustione.

Il commercio di GNL coinvolge diverse fasi, molte delle quali sono caratterizzate da un’elevata intensità energetica, il che significa emissioni di CO2. “Ci vuole molta energia per estrarlo dal suolo, liquefarlo e trasportarlo”, ha spiegato Patrick King, analista di Rystad Energy, a AFP. Le perdite di metano rappresentano un ulteriore problema; questo gas, componente principale del gas naturale, è noto per le sue dispersioni durante l’estrazione e il trasporto.

Il metano è un potente gas serra, con un potenziale di riscaldamento “28 volte superiore a quello della CO2 nell’arco di 100 anni e 86 volte superiore nell’arco di 20 anni”. Il think tank IEEFA (Institut pour l’économie de l’énergie et l’analyse financière) mette in guardia sul rischio di “chiudersi in un altro combustibile che emette”, piuttosto che investire in energie rinnovabili. “Sarebbe meglio passare direttamente alla transizione”, ha sottolineato l’analista Ana Maria Jaller-Makarewicz.

Patrick King ha aggiunto che il GNL produce “più emissioni lungo tutta la sua catena di valore rispetto al gas trasportato tramite gasdotto”. Alcuni studi hanno anche evidenziato che l’impronta di carbonio del GNL può risultare “peggiore” di quella del carbone. Un’analisi della Cornell University, pubblicata il 3 ottobre, ha rivelato che il GNL negli Stati Uniti ha generato un’impronta di gas serradel 33% superiore a quella del carbone”, considerando produzione e trasporto per un periodo di 20 anni. Anche su un orizzonte di 100 anni, l’impronta del GNL sarebbe pari o superiore a quella del carbone.

Il dibattito su questo tema è acceso. Un altro studio pubblicato a giugno dalla società di analisi Rystad Energy ha calcolato che le emissioni della catena di valore del GNL sono, in media, inferiori a quelle della produzione di energia elettrica a carbone. “Il gas naturale prodotto e liquefatto negli Stati Uniti e spedito in Asia con viaggi di andata e ritorno di circa 23.000 miglia (37.000 km) potrebbe emettere fino al 50% in meno rispetto alle più pulite centrali elettriche a carbone”, si legge nella ricerca.

Rystad evidenzia, però, che esistono “variazioni significative” in base ai bacini di estrazione del GNL, che differiscono nell’efficacia del controllo del metano, e “incertezze” legate al monitoraggio satellitare del metano, che è ancora nelle fasi iniziali. Jonathan Stern, ricercatore emerito presso l’Oxford Institute of Energy Studies, afferma che determinare il bilancio climatico tra gas e carbone è “molto complicato”. “È un argomento in cui bisogna essere sicuri di avere dati indipendenti e verificati, e il più delle volte non li abbiamo”.

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