Uno studio condotto dall’Australian National University e dall’University of Nottingham, pubblicato su Science, evidenzia l’impatto delle pratiche di combustione indigene in Australia sulla gestione degli incendi. In passato, queste tecniche riducevano la copertura di arbusti, limitando il materiale combustibile e attenuando l’intensità degli incendi boschivi. Tuttavia, la scomparsa di queste pratiche a seguito della colonizzazione europea ha portato a un aumento della vegetazione arbustiva, contribuendo a incendi di maggiore intensità, i cosiddetti mega-incendi.
Il cambiamento climatico ha ulteriormente amplificato la frequenza e l’intensità degli incendi, specialmente nelle regioni come l’Australia sud-orientale e le foreste nordamericane. La gestione forestale e la soppressione degli incendi, abbinate all’accumulo di vegetazione, hanno creato condizioni favorevoli a incendi devastanti che possono propagarsi dalle zone a terra alle chiome degli alberi. Le pratiche di “bruciatura culturale” degli indigeni, utilizzate per millenni per promuovere la biodiversità e prevenire incendi devastanti, sono state ostacolate dal colonialismo, causando un accumulo di materiale combustibile.
Lo studio ha analizzato oltre 2800 registrazioni archeologiche e paleoecologiche, dimostrando che la crescita della popolazione indigena e l’adozione di pratiche di combustione hanno ridotto la copertura arbustiva dal 30% al 15% tra il tardo Olocene, mentre l’arrivo dei coloni ha fatto lievitare la copertura arbustiva al 35%. Gli autori concludono che reintrodurre queste pratiche indigene potrebbe essere una strategia efficace per mitigare gli incendi futuri.