La missione Chang’e-6 della Cina, lanciata nel maggio 2024, ha compiuto una delle più straordinarie operazioni di esplorazione spaziale degli ultimi anni, riportando sulla Terra campioni di suolo prelevati dal lato lontano della Luna. Per la prima volta nella storia dell’esplorazione lunare, abbiamo accesso a materiale geologico proveniente da una regione in precedenza inaccessibile: il bacino dell’Apollo, situato nella parte nord-orientale del vasto cratere Polo Sud-Aitken. I risultati di questa missione, recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature, hanno rivoluzionato la nostra comprensione della storia vulcanica lunare, rivelando che questa regione era vulcanicamente attiva fino a 2,8 miliardi di anni fa, un periodo molto più recente rispetto a quanto si pensasse.
Un nuovo paradigma per la geologia lunare
La scoperta segna un punto di svolta nelle teorie geologiche lunari. Fino a oggi, la nostra comprensione del vulcanismo lunare si basava principalmente sui campioni raccolti dalle missioni Apollo della NASA e dalle sonde sovietiche Luna, che avevano esplorato solo il lato vicino della Luna. I dati da queste missioni avevano indicato che l’attività vulcanica sulla Luna si era concentrata tra 4 miliardi e 2 miliardi di anni fa, un periodo durante il quale le colate di lava avevano ricoperto vaste aree della superficie, formando i maria — grandi pianure basaltiche visibili anche a occhio nudo dalla Terra.
Il lato lontano della Luna, tuttavia, presenta una morfologia profondamente diversa: la crosta è più spessa, le pianure basaltiche sono meno estese e la superficie è caratterizzata da una maggiore densità di crateri da impatto. Queste differenze hanno a lungo suggerito che il vulcanismo fosse stato limitato quasi esclusivamente al lato vicino, con il lato lontano che si pensava fosse geologicamente inattivo per gran parte della sua storia. La missione Chang’e-6 ha ora sfidato questa visione consolidata.
Il sito di sbarco: una scelta strategica per risolvere un enigma geologico
Il Polo Sud-Aitken è uno dei più grandi e antichi crateri da impatto del Sistema Solare, con un diametro di circa 2.500 chilometri e una profondità che raggiunge i 12 chilometri. La regione presenta caratteristiche geologiche uniche, tra cui una crosta estremamente sottile, che ha spinto gli scienziati a scegliere il bacino dell’Apollo come sito di sbarco per Chang’e-6. Qui, le condizioni geologiche hanno permesso di prelevare campioni di suolo che offrono una visione inedita delle dinamiche vulcaniche che hanno plasmato la Luna.
Il team guidato da Qiu-Li Li ha condotto un’analisi dettagliata dei campioni, utilizzando una tecnica di datazione isotopica avanzata nota come datazione piombo-piombo. Questa metodologia, che si basa sul decadimento di isotopi di piombo derivati dall’uranio, è una delle più accurate per determinare l’età delle rocce. Grazie a questo approccio, i ricercatori hanno analizzato 108 frammenti di basalto, una roccia vulcanica che si forma dal raffreddamento del magma.
Un’età geologica inaspettata
Uno dei risultati più sorprendenti riguarda un frammento di basalto ad alta allumina, che è stato datato a circa 4,2 miliardi di anni fa, risalente quindi ai primi stadi di formazione della crosta lunare. Tuttavia, la maggior parte dei frammenti analizzati ha rivelato un’età di circa 2,8 miliardi di anni, indicando un episodio di vulcanismo significativo che si è verificato molto tempo dopo la fine dell’attività vulcanica documentata sul lato vicino della Luna.
Questa scoperta suggerisce che il bacino dell’Apollo ha vissuto un evento vulcanico prolungato e inaspettatamente recente, sconvolgendo le precedenti ipotesi che attribuivano al lato lontano una storia geologica tranquilla e priva di fenomeni eruttivi negli ultimi miliardi di anni.
La storia termica della Luna: nuove ipotesi
La scoperta di un vulcanismo tardivo nel bacino dell’Apollo solleva importanti domande sulla storia termica della Luna. Gli scienziati ritenevano che, a causa delle sue dimensioni ridotte e del conseguente rapido raffreddamento, la Luna avesse esaurito la sua attività vulcanica molto presto nella sua storia geologica. Tuttavia, l’evidenza di eruzioni avvenute fino a 2,8 miliardi di anni fa implica che ci siano stati processi di riscaldamento interni più persistenti di quanto si pensasse.
Una delle ipotesi avanzate dagli autori dello studio è che il mantello lunare nel bacino dell’Apollo possa aver mantenuto una sorgente di calore residua, forse alimentata da fenomeni di marea causati dall’interazione gravitazionale con la Terra. Queste forze mareali potrebbero aver generato attrito nel mantello, prolungando la presenza di sacche di magma attivo ben oltre il periodo vulcanico noto.
Il ruolo del bacino Polo Sud-Aitken: una finestra sull’evoluzione lunare
Il Polo Sud-Aitken non è solo un cratere da impatto, ma anche una regione geologicamente unica che ha esposto strati profondi della crosta lunare. La sottigliezza della crosta in questa zona ha probabilmente facilitato la risalita del magma, permettendo al vulcanismo di persistere più a lungo. Questo fenomeno offre una nuova prospettiva sull’evoluzione interna della Luna e potrebbe spiegare perché il lato lontano mostra un’attività vulcanica più recente rispetto a quanto osservato sul lato vicino.
Gli autori dello studio suggeriscono che il vulcanismo nel bacino dell’Apollo possa rappresentare l’ultimo respiro di un’attività magmatica prolungata, alimentata da una combinazione di fattori interni ed esterni. Se questa teoria venisse confermata, cambierebbe radicalmente il modo in cui interpretiamo l’evoluzione termica e strutturale del nostro satellite naturale.
Implicazioni per future missioni e risorse lunari
La scoperta di un vulcanismo tardivo sul lato lontano della Luna non è solo di interesse scientifico, ma ha anche implicazioni pratiche per le future missioni di esplorazione. Le regioni vulcaniche possono contenere depositi di minerali preziosi, tra cui il titanio e l’elio-3, una risorsa potenzialmente utilizzabile per la fusione nucleare. Il fatto che ci sia stata attività magmatica recente potrebbe significare che ci sono depositi minerari ancora più ricchi nel sottosuolo.
Le prossime missioni, come Chang’e-7 e Chang’e-8, saranno cruciali per confermare questi risultati e per esplorare ulteriormente il Polo Sud-Aitken. La Cina ha già annunciato piani ambiziosi per stabilire una base lunare permanente entro la fine del prossimo decennio, e il sito del bacino dell’Apollo potrebbe diventare un candidato privilegiato per future operazioni di estrazione mineraria e ricerca scientifica.
Questi risultati dimostrano il potenziale delle nuove tecnologie e della cooperazione internazionale nell’espandere la nostra conoscenza del Sistema Solare. La Luna, da sempre oggetto di fascino e simbolo di mistero, continua a essere un laboratorio naturale per esplorare le dinamiche di formazione planetaria, offrendoci uno sguardo senza precedenti sulle forze che plasmano i corpi celesti e, di riflesso, la nostra stessa storia cosmica.