AIL spinge ancora linfociti anti-tumori CAR-T: ottimismo dei medici a 5 anni dall’inizio

Terapie CAR-T, "oggi sono oltre 1.400 i pazienti trattati e oltre 40 i centri che sono stati abilitati al trattamento"
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A cinque anni dall’arrivo in Italia della prima terapia genica anticancro, le CAR-T (acronimo di Chimeric Antigens Receptor T-Cells), terapie avanzate basate sulla modifica e sul potenziamento dei linfociti T che in questo modo riescono a riconoscere e aggredire le cellule tumorali, sono oramai una realtà ben presente nella pratica clinica di numerosi Centri italiani. Si comincia a raccogliere i frutti di questi primi anni di utilizzo e gestione delle terapie CAR-T, diventate un nuovo paradigma di cura per alcuni tumori del sangue, aggressivi e refrattari, e motivo di speranza per i pazienti dopo tanti fallimenti. In questa prospettiva AIL, Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma, ha deciso di riprendere, da Milano, il ‘viaggio’ di “CAR-T Il futuro è già qui”, campagna itinerante e online nata nel 2021, per informare pazienti, familiari, caregiver e specialisti, e migliorare la conoscenza, l’accesso e la gestione dei trattamenti, con uno sguardo alle esperienze cliniche maturate, ai successi dei pazienti trattati e ai futuri ambiti di applicazione.

Il ‘viaggio nel futuro’, appena iniziato, continua perché se da un lato aumenta il numero delle CAR-T cells autorizzate in oncologia e onco-ematologia (secondo il Report 2019 dell’European Society for Blood and Marrow Transplantation-EBMT sui trapianti di cellule emopoietiche, le terapie CAR-T sono cresciute del 650% rispetto al 2017) e nei laboratori di tutto il mondo la ricerca scientifica avanza velocemente a caccia di nuovi e difficili bersagli da colpire, dall’altro le CAR-T come le conosciamo oggi sono solo il primo passo su un cammino in profonda evoluzione e con molti interrogativi a cui dare risposte.

La campagna – spiega il Presidente AIL Giuseppe Toro vuole solamente prendere atto di quello che è avvenuto in questi anni nel mondo scientifico e nella ematologia italiana. Cinque anni fa quando si cominciò c’erano grandi attese e grandi speranze – racconta – attese e speranze che sono state mantenute”.

Come osserva Toro “oggi sono oltre 1.400 i pazienti trattati e oltre 40 i centri che sono stati abilitati al trattamento“. Ora con questa seconda iniziativa di Ail “noi contiamo di fare insieme alle ematologie più importanti un bilancio e una sintesi del lavoro fatto, e di quelli che sono stati i risultati ottenuti”. Inoltre “quali sono i passi avanti che ancora può fare la terapia su altri tipi di patologie“. La prima edizione della campagna Ail ha raggiunto dieci regioni italiane con ben undici tappe da nord a sud del Paese, “grazie anche – precisa il Presidente – al sostegno delle sezioni locali”.

Attualmente tra i centri abilitati sul territorio nazionale, 10 si trovano in Lombardia. Sta maturando anche l’esperienza nell’utilizzo e nella gestione delle terapie CAR-T e si accumulano evidenze e dati clinici. “Già oggi il 50% circa delle leucemie linfoblastiche acute ed il 40% dei linfomi a grandi cellule B vengono guariti da questa terapia“, dichiara Paolo Corradini, direttore della divisione di Ematologia all’Istituto nazionale dei tumori (Int) di Milano, docente all’Università degli Studi di Milano e presidente Sie-Società italiana di ematologia. “La peculiarità principale – precisa Corradini – è che è una terapia cellulare, cioè non sono farmaci, non sono radiazioni, non sono anticorpi che intervengono nel trattamento, ma sono le cellule dello stesso paziente che non rispondevano più alla neoplasia a venir modificate geneticamente in vitro in modo da diventare degli efficacissimi combattenti contro la leucemia, il linfoma o il mieloma multiplo”.

Insomma, “sono molti i dati di real life, derivanti dalla pratica clinica dei vari Centri nei diversi Paesi, che – osserva il medico – dimostrano come nel linfoma follicolare le CAR-T funzionano molto bene, e altrettanto nel mieloma multiplo, anche se non con gli stessi risultati dei linfomi”. Oltretutto, “i dati di risposta e di sopravvivenza nelle malattie refrattarie fin qui raccolti sono molto incoraggianti, in particolare per la sopravvivenza a lungo termine”. In sostanza, per Corradini “le CAR-T dimostrano di funzionare laddove non funzionava più niente“, e l’esempio dato è proprio di una giovane donna sottopostasi al trattamento nel 2021 e che ora, come riferisce il primario dell’Int, ha avuto un bambino.

L’infusione di cellule CAR-T, per un paziente che ha vissuto periodi di cura lunghi e infruttuosi, riaccende infatti la speranza ma ad essa si associa la paura riguardo le imprevedibili percentuali di successo o per il possibile fallimento anche di quest’ultimo tentativo di cura. In questo senso supporto psicologico, la presenza costante degli specialisti e degli infermieri, l’accoglienza nelle Case alloggio AIL, sono elementi indispensabili per aiutare i pazienti onco-ematologici prima, durante e dopo aver ricevuto la terapia CAR-T, come conferma una ricerca realizzata con il supporto di Gilead e Ail Milano.

La ricerca, basata su interviste a 12 pazienti e 7 caregiver, ha indagato i principali bisogni dei pazienti onco-ematologici sottoposti a CAR-T cells e dei loro caregiver. Come spiega Sara Alfieri, ricercatrice di Psicologia clinica all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, emergono come prioritari i bisogni cosiddetti ‘esistenziali’, legati alla vita e alla sopravvivenza, “ovvero quei bisogni per cui il paziente vuole sentirsi dire, vuole credere e vuole sperare che questa ennesima linea di terapia andrà bene e che, se non ci dovesse essere un risultato positivo, ci saranno altre possibilità terapeutiche“. Emergono poi i bisogni relativi “al desiderio di essere informati in maniera esaustiva, empatica e sincera, in caso contrario, si alimentano timori e incertezze“. Seguono i bisogni legati all’assistenza, “per cui – osserva Alfieri – i pazienti desiderano il miglioramento dei servizi di base (supporto psicologico, visite e controlli vicini alla propria residenza) e il sostegno del mondo delle associazioni per migliorare la vita di tutti i giorni”. Infine “è forte e predominante il bisogno di non sentirsi abbandonati“. Più pessimisti i caregiver, che “dal canto loro hanno paura a credere che l’ennesimo tentativo di cura con CAR-T possa avere un lieto fine“.

I risultati, però, fino a questo momento dicono il contrario, e la ricerca di certo non si ferma qui, osservando all’orizzonte una possibilità di ampliare il raggio di azione. Questa terapia, come spiega Corradini, “è già cominciata come cura per un’unica leucemia, poi si è aperta a molti linfomi e poi è arrivata anche a tantissime altre patologie, quindi già dentro l’ematologia ha ampliato le indicazioni“. Ad oggi però “sta dando dei risultati incredibili nelle malattie autoimmuni, malattie autoimmuni refrattarie gravissime“, mentre “ci sono studi che cominciano in alcuni tumori, dove ovviamente la situazione è molto più complessa”. Insomma, la frontiera è tracciata, con “un approccio rivoluzionario, che prevede non più la semplice somministrazione di un farmaco, quanto piuttosto la proposta di un programma di trattamento in fasi sequenziali ma distinte”, come sottolinea Piera Angelillo, Ematologa dell’ospedale San Raffaele di Milano.

Adesso non resta altro che puntare al livello successivo, perché come recita la campagna AIL ‘Il futuro è già qui’, dunque c’è bisogno di promuovere al meglio un trattamento che sta conquistando tutti, a suon di risultati ottenuti.

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