Il mistero sulla malattia di Boulaye Dia: rivelazione clamorosa sulla malaria

Il caso della malaria di Boulaye Dia continua a tenere banco: le notizie sul calciatore della Lazio e altre ipotesi
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Una notizia ha scosso il mondo del calcio e ha generato preoccupazione tra i tifosi della Lazio: Boulaye Dia, attaccante della squadra biancoceleste e della nazionale senegalese, è stato colpito da un “attacco di malaria”. La notizia è stata resa nota dalla federazione del Senegal, proprio alla vigilia della partita della nazionale contro il Burkina Faso, gettando preoccupazioni e dubbi sulle condizioni del calciatore. Secondo le informazioni, Dia è stato fermato il giorno prima della partenza per Bamako, e ulteriori esami sono stati svolti a Dakar per confermare la diagnosi. Le prime indiscrezioni hanno riferito di una forma di malaria “di lieve entità”, circostanza che lascia spazio a un cauto ottimismo.

Le ultime rivelazioni ed i dubbi

Un elemento incoraggiante e da un certo punto di vista clamoroso è stato riferito in diretta dal direttore Ilario Di Giovambattista nel corso di Radio Radio lo Sport: “Dia sta bene e oggi si è allenato da solo”. 

Tuttavia, la vicenda ha sollevato alcuni dubbi. Luigi Salomone, intervenendo nello stesso programma, ha avanzato una possibilità ancora tutta da confermare: “non vorrei che a questo punto i medici africani avessero scambiato un’influenza intestinale per la malaria”.

Le parole dell’infettivologo

“I giocatori africani che vivono in Europa e ritornano nei Paesi dove è endemica la malaria devono fare la profilassi perché hanno perso, vivendo per anni fuori dai Paesi d’origine, la semi-immunità all’infezione malarica. Meglio prendere una pasticca al giorno per la profilassi che rischiare di fare una malattia che può impedirgli di giocare per un po’ di tempo. La profilassi non è obbligatoria, ma raccomandata, però ha una protezione molto alta (oltre il 95%) per la malattia e del 99% per la malaria grave”. Lo spiega all’Adnkronos Salute Emanuele Nicastri, direttore dell’Unità di Malattie infettive ad alta intensità di cura dell’Inmi Spallanzani di Roma.

“Ricordo il caso di Fausto Coppi, morto nel 1960 per malaria non diagnosticata all’inizio – prosegue Nicastri – Era andato in Africa, in Burkina Faso, e tornò con la malaria. Non aveva fatto la profilassi. Questo per dire che di malaria si può morire. Purtroppo ancora oggi in Italia ci sono decessi legati a casi d’importazione. L’indicazione è di fare la profilassi, e anche i calciatori dovrebbero farla perché una pasticca al giorno non incide sulle prestazioni sportive”.

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