Un recente studio condotto dal Salk Institute e dall’Università di Cambridge, pubblicato sulla rivista Nature, ha fatto luce su un meccanismo evolutivo che permette ad alcune piante di adattarsi meglio a condizioni di forte calore e scarsità d’acqua, con implicazioni cruciali per la resilienza delle colture agricole di fronte ai cambiamenti climatici.
Secondo la ricerca, più di 3 miliardi di anni fa, la fotosintesi, il processo che consente alle piante di trasformare l’energia solare in cibo, è stata per la prima volta sviluppata da batteri antichi, in un mondo interamente ricoperto d’acqua. Da allora, i batteri si sono evoluti in piante, adattandosi nel tempo a vari cambiamenti ambientali. La svolta più significativa in questa evoluzione è avvenuta circa 30 milioni di anni fa, con l’emergere di un nuovo sistema di fotosintesi più efficiente.
Mentre piante come il riso continuano a utilizzare una forma di fotosintesi chiamata C3, altre come il mais e il sorgo hanno sviluppato una versione più avanzata, la C4, che è particolarmente efficace in climi caldi e secchi, e che oggi comprende oltre 8.000 specie diverse, alcune delle quali sono tra le colture più produttive del mondo.
Tuttavia, la stragrande maggioranza delle piante continua a utilizzare il sistema C3. Questo solleva la domanda: come sono nate le piante C4 e c’è la possibilità di “aggiornare” le piante C3 per adottare la stessa modalità più efficiente? “Chiedere cosa rende diverse le piante C3 e C4 non è importante solo dal punto di vista biologico di base, ovvero sapere perché qualcosa si è evoluto e come funziona a livello molecolare“, afferma il professor Joseph Ecker, autore senior dello studio e presidente del Salk International Council in Genetics. “Rispondere a questa domanda è un enorme passo avanti verso la comprensione di come possiamo realizzare le colture più robuste e produttive possibili di fronte al cambiamento climatico e a una popolazione globale in crescita“.
Per comprendere meglio come funzioni la fotosintesi C4, il team di ricerca ha utilizzato tecniche avanzate di genomica monocellulare per confrontare il riso C3 e il sorgo C4. “Siamo rimasti sorpresi ed emozionati nello scoprire che la differenza tra le piante C3 e C4 non è la rimozione o l’aggiunta di geni specifici“, afferma Ecker.
In effetti, “piuttosto, la differenza è a livello di regolamentazione, il che potrebbe semplificare per noi a lungo termine l’attivazione di una fotosintesi C4 più efficiente nelle colture C3“. Le cellule di un organismo contengono gli stessi geni, ma ciò che determina l’identità e la funzione di ogni cellula è quale gene viene espresso in un dato momento. Un modo in cui l’espressione genica può essere modificata è attraverso l’attività dei fattori di trascrizione, che riconoscono e si legano a tratti di DNA vicino ai geni, chiamati “elementi regolatori“. Una volta legati, i fattori di trascrizione possono attivare o disattivare i geni adiacenti.
Misurando l’espressione genica nelle piante di riso e sorgo, gli scienziati hanno scoperto che una famiglia di fattori di trascrizione, noti come DOF, era responsabile dell’attivazione dei geni per la creazione delle cellule della guaina del fascio in entrambe le specie. Tuttavia, nelle piante di sorgo C4, questo elemento regolatore non solo era associato ai geni di identità della guaina del fascio, ma attivava anche i geni della fotosintesi. Questo suggerisce che le piante C4 abbiano unito, in qualche momento della loro evoluzione, elementi regolatori ancestrali per i geni della guaina del fascio a quelli della fotosintesi, permettendo ai DOF di attivare entrambi i set di geni contemporaneamente.
Questa scoperta suggerisce che le piante C3 potrebbero essere in grado di adottare una strategia simile. “Questi esperimenti hanno rivelato che sia le piante C3 che C4 contengono i geni e i fattori di trascrizione necessari per il processo di fotosintesi C4, una scoperta promettente per gli scienziati che sperano di spingere le piante C3 a utilizzare la fotosintesi C4“.
La ricerca potrebbe aprire la strada a colture più resilienti ai cambiamenti climatici, affrontando sfide come il riscaldamento globale e la crescente scarsità d’acqua.