Sostituire il latte con lo yogurt riduce i rischi per il cuore: lo studio

Questi risultati offrono nuove prospettive su come le abitudini alimentari possano influenzare la salute cardiovascolare
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Il consumo di prodotti lattiero-caseari come latte e burro, che non sono fermentati tramite l’azione di microrganismi, potrebbe aumentare il rischio di malattie cardiache nelle donne, a differenza dello yogurt, che viene prodotto attraverso un processo di fermentazione. Questo è quanto emerge da una ricerca guidata da Karl Michaelsson, dell’Università di Uppsala, pubblicata su Bmc Medicine. Lo yogurt, infatti, è un esempio di latte fermentato, sebbene non tutti i latticini fermentati possano essere definiti yogurt. In Italia, solo i derivati del latte ottenuti attraverso l’aggiunta di due microrganismi specifici, Streptococcus thermophilus e Lactobacillus bulgaricus, possono essere chiamati “yogurt“, mentre i prodotti derivati dalla fermentazione di latte con altri microrganismi vengono genericamente etichettati come “latte fermentato” o con altri nomi. Anche il kefir, per esempio, rientra tra i latti fermentati.

Lo studio condotto da Michaelsson e dai suoi colleghi ha esaminato l’associazione tra il consumo di latte e il rischio di cardiopatia ischemica (IHD) e infarto miocardico acuto (MI). I risultati suggeriscono che sostituire il latte non fermentato con latte fermentato potrebbe ridurre potenzialmente il rischio di queste malattie nelle donne.

L’IHD, una delle principali cause di mortalità globale tra gli adulti, è associato a un’incertezza riguardo agli effetti dei latticini sul rischio di sviluppo della malattia. Mentre sia il latte fermentato che quello non fermentato sono consumati ampiamente, specialmente nei Paesi scandinavi, la British Dietetic Association consiglia di consumare tre porzioni di latticini al giorno, equivalenti a tre bicchieri da 200 millilitri di latte parzialmente scremato, 90 grammi di formaggio cheddar o 450 grammi di yogurt magro.

Il team di ricerca ha condotto due studi prospettici su un totale di 59.998 donne svedesi, con un’età media di 54 anni, e 40.777 uomini, con un’età media di 60 anni, che non avevano IHD o cancro. Durante i 33 anni di follow-up (dal 1987 al 2021), sono stati registrati 17.896 casi di IHD, tra cui 10.714 di infarto miocardico acuto. I partecipanti sono stati monitorati in relazione a fattori come il consumo di alcol, lo stato di fumatore e altre condizioni di salute come il diabete, e hanno riferito quante porzioni di latte fermentato e non fermentato consumavano giornalmente.

Nei risultati, per le donne, l’assunzione di più di 300 millilitri al giorno di latte non fermentato è stata associata a un aumento del rischio di IHD. Più precisamente, il rischio è aumentato del 5% con 400 millilitri al giorno, del 12% con 600 millilitri e del 21% con 800 millilitri. Una relazione simile è stata osservata anche per l’aumento del rischio di MI acuto nelle donne. Al contrario, negli uomini non è stato riscontrato un aumento del rischio di IHD in relazione al consumo di latte non fermentato.

Lo studio ha anche mostrato che, sostituendo 200 millilitri di latte non fermentato al giorno con latte fermentato, si è registrata una riduzione del rischio di IHD del 5% e del 4% per quanto riguarda il rischio di MI nelle donne. Gli autori dello studio ipotizzano che l’assunzione di grandi quantità di latte non fermentato possa influire sui livelli di alcune proteine cardiometaboliche come l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2) e il fattore di crescita dei fibroblasti 21 (FGF21), che sono coinvolti nella regolazione della pressione sanguigna e del flusso sanguigno.

Tuttavia, i ricercatori avvertono che lo studio è stato condotto su partecipanti prevalentemente scandinavi, il che potrebbe limitare l’applicabilità dei risultati ad altre popolazioni. Inoltre, essendo uno studio osservazionale, non è possibile stabilire una relazione causale diretta tra il consumo di latte non fermentato e l’IHD nelle donne.

Questi risultati offrono nuove prospettive su come le abitudini alimentari possano influenzare la salute cardiovascolare, con implicazioni potenzialmente significative per le raccomandazioni dietetiche future.

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