La notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, Bhopal, in India, fu teatro del peggior disastro industriale della storia. Dalla fabbrica di pesticidi della Union Carbide India Limited, controllata dalla multinazionale statunitense Union Carbide Corporation, fuoriuscirono 42 tonnellate di isocianato di metile, un gas letale. L’incidente causò tra le 3.000 e le 15.000 morti immediate, mentre le conseguenze a lungo termine hanno portato il bilancio a oltre 25.000 vittime.
Costruita nel 1969, la fabbrica produceva il Sevin, un insetticida, ma negli anni la manutenzione scarseggiava e l’impianto era stato destinato alla chiusura. Nonostante gli allarmi precedenti, nulla fu fatto per evitare il disastro. Ancora oggi, a 40 anni di distanza, l’area rimane contaminata, con più di 200.000 persone che vivono in una crisi sanitaria e ambientale permanente. L’acqua e il suolo continuano a essere inquinati, causando malattie croniche e tassi di mortalità elevati, aggravati durante eventi come la pandemia di Covid-19.
L’International Campaign for Justice in Bhopal lotta per il riconoscimento delle responsabilità, ma né Union Carbide né Dow Chemical, suo attuale proprietario, sono mai state ritenute legalmente responsabili. I risarcimenti, irrisori, hanno lasciato una profonda ferita nella giustizia globale e nella vita di milioni di persone.