È stata mappata la storia genetica del virus dell’epatite E, con un focus sugli animali, che rivestono un ruolo fondamentale nell’evoluzione del virus e nella sua trasmissione all’uomo. Gli ungulati, classe che comprende i mammiferi selvatici più grandi come lo stambecco, il camoscio, il cervo, il capriolo, il cinghiale e il muflone, sono stati identificati come i principali serbatoi per le infezioni umane da epatite E. Questo è quanto emerge da uno studio condotto da Jan Felix Drexler, dell’Istituto di virologia dell’Ospedale universitario della Charité, i cui risultati sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences.
Lo studio ha anche evidenziato che le infezioni da epatite E trasmesse dai ratti agli esseri umani potrebbero suggerire un ruolo dei roditori nell’evoluzione virale. Per tracciare la genealogia della famiglia di virus Hepeviridae, Drexler e i suoi colleghi hanno analizzato i dati genomici pubblicamente disponibili di primati, roditori, ungulati, pipistrelli e toporagni, cercando tracce di geni epevirali. L’indagine ha portato al recupero di quattro ceppi di hepevirus geneticamente divergenti in roditori e pipistrelli.
Inoltre, gli scienziati hanno esaminato 2.565 campioni di fegato provenienti da 108 specie di roditori e toporagni, raccolti in regioni poco esplorate di Africa, Asia e America Latina. Di questi campioni, 63 hanno mostrato la presenza di RNA epevirale, rappresentando 14 specie diverse. Grazie a questo lavoro, sono stati ottenuti 24 genomi epevirali quasi completi provenienti da roditori, toporagni e pipistrelli, con i roditori che hanno ospitato la maggiore diversità di hepevirus.
L’analisi evolutiva dei genomi ha rivelato che il virus dell’epatite E umano probabilmente ha avuto origine in animali ungulati come suini o camelidi, ma anche, più remotamente, in piccoli mammiferi come i roditori. I dati suggeriscono che gli hepevirus che hanno cambiato ospite provengono principalmente dai roditori.
Questi risultati potrebbero essere utili per ottimizzare i modelli di studio sull’epatite E, che ogni anno causa oltre 40.000 decessi umani. Secondo gli autori, le scoperte potrebbero contribuire alla sorveglianza del potenziale “spillover“, ossia il passaggio del virus da una specie serbatoio, in cui il virus circola abitualmente, a una nuova specie ospite, dove può evolversi fino a provocare epidemie. I virus simili all’epatite E trasmessi dai roditori potrebbero quindi rappresentare un rischio crescente per la salute umana.