Un recente aggiornamento pubblicato da Stefan Rahmstorf su RealClimate ha cercato di chiarire le controversie mediatiche emerse negli ultimi anni riguardo all’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), uno dei principali regolatori della circolazione oceanica globale. Questo sistema, fondamentale per mantenere l’Europa e l’Atlantico settentrionale eccezionalmente caldi per la loro latitudine, è stato al centro di affermazioni discordanti che spaziano tra il suo presunto collasso imminente e una maggiore stabilità di quanto si pensasse.
Come spesso accade nel dibattito scientifico, l’evoluzione della comprensione dell’AMOC non si basa su singoli studi rivoluzionari, ma su piccoli avanzamenti incrementali. L’ultimo contributo significativo arriva da una nuova ricostruzione a opera di Jens Terhaar e colleghi, che analizza l’evoluzione del sistema negli ultimi 60 anni. La ricostruzione si basa sui flussi di calore superficiale utilizzando dati di rianalisi, offrendo una visione alternativa rispetto agli approcci precedenti, come quello basato sull’anomalia della temperatura superficiale del mare nel cosiddetto “blob freddo“.
Storicamente, le misurazioni dirette dell’AMOC sono disponibili solo dal 2004 grazie al progetto RAPID, rendendo necessaria l’adozione di metodi indiretti per ricostruire il comportamento passato. I precedenti modelli basati su dati storici del CMIP5, utilizzati in studi come Caesar et al. (2018), hanno mostrato risultati promettenti nella correlazione tra il “blob freddo” e la forza dell’AMOC. Tuttavia, i nuovi modelli CMIP6 presentano maggiori incertezze, con prestazioni inferiori nella riproduzione di alcune caratteristiche chiave dell’Atlantico settentrionale, come il raffreddamento del “blob freddo”. Questo problema è aggravato dal fatto che la maggior parte dei modelli CMIP6 sottovaluta il raffreddamento osservato o, in alcuni casi, simula persino un rafforzamento dell’AMOC in epoca storica, in contrasto con le evidenze.
Il metodo di Terhaar, che utilizza la perdita di calore superficiale come indicatore, presenta vantaggi teorici, ma si scontra con importanti limitazioni pratiche. Mentre i modelli climatici possono calcolare con precisione la perdita di calore, questi dati non sono direttamente osservabili nell’oceano reale e dipendono da simulazioni che includono molteplici variabili incerte, come la velocità del vento, l’umidità e la copertura nuvolosa. Inoltre, i diversi dataset di rianalisi producono risultati notevolmente divergenti, complicando ulteriormente l’affidabilità del metodo.
Un altro punto critico è l’intervallo temporale considerato da Terhaar, che non evidenzia il declino significativo osservato in altre ricostruzioni dell’AMOC, come quelle basate sulle misurazioni RAPID o sui modelli di temperatura superficiale. Questo suggerisce che, nonostante i progressi, il nuovo metodo non sostituisce i precedenti approcci, ma rappresenta un ulteriore tassello in un quadro ancora complesso.
Indipendentemente dal metodo utilizzato, la comunità scientifica concorda su un punto fondamentale: l’AMOC si indebolirà in risposta al riscaldamento globale. Questo rappresenta un rischio climatico significativo, con potenziali impatti sull’intero sistema climatico globale, dall’innalzamento del livello del mare all’aumento di eventi meteorologici estremi. Sebbene l’entità e i tempi di questo indebolimento siano ancora oggetto di studio, il consenso scientifico sottolinea l’urgenza di affrontare le cause sottostanti del cambiamento climatico per mitigare i rischi futuri.