Alluvione Ischia, Di Vito (INGV) avverte: “a Casamicciola il rischio non è finito”

Alluvione Ischia: Mauro di Vito (INGV) spiega come è avvenuta la frana che ha devastato Casamicciola e come il rischio di ulteriori frane esista ancora
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Non è ancora finito il pericolo a Ischia, devastata da un’alluvione che ha provocato una frana in cui è morta almeno una persona e altre 10 sono disperse, mentre sono oltre 100 gli sfollati. L’area di Casamicciola, dove si è verificata la frana, è ancora a rischio di ulteriori frane. Il pericolo residuo “è sempre difficile da valutare, ma esiste. E’ quindi concreto il rischio di nuove frane nell’imminente, soprattutto in concomitanza con ulteriori eventi piovosi, ha dichiarato in un’intervista all’ANSA Mauro di Vito, Direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV). 

La quota di terreno che si è staccata dando luogo alla frana, spiega l’esperto, “è solo una parte del versante, ma ci sono altre parti nelle stesse condizioni e ci può dunque essere il rischio di altri eventi simili, soprattutto se si verificheranno nuove piogge intense. Va però anche considerato che ci sono state già precipitazioni molto abbondanti nelle scorse ore che hanno saturato i terreni dell’area e ciò aumenta ulteriormente il pericolo“. Questi sono fenomeni, precisa, che ricorrono in aree di forte instabilità e l’area di Casamicciola è già nota per frane in passato.  

A favorire questo tipo di fenomeno è innanzitutto la natura del terreno: “si tratta di terreni piroclastici, ovvero derivati dal materiale eruttato dai vulcani, e sono di tipo poroso e fine. Pertanto, si saturano facilmente di acqua e questo facilita la mobilizzazione di queste masse terrose, che non sono molto spesse ma che spesso riguardano aree molto estese. Dunque, nel momento in cui inizia a mobilizzarsi questo strato superficiale di terreno, anche se non è di grosso spessore, estendendosi su un’ampia area crea comunque un grosso volume composto da acqua e fango che scende ad alta velocità lungo i valloni“. Man mano, poi, che la conformazione del vallone si restringe, evidenzia di Mauro, “le colate di acqua e fango aumentano di velocità e raccolgono altro materiale portandolo a valle. Il fenomeno delle frane parte dalle fiancate di questi valloni ed è tipico di questi territori vulcanici fini”.  

Pesa però anche la mancata manutenzione del territorio. Ciò su cui si deve agire, avverte infatti l’esperto dell’INGV, “è proprio la prevenzione, che si fa capendo innanzitutto quali sono le aree più a rischio, perimetrandole e non utilizzandole. Purtroppo, invece, molte di queste aree sono valli che sono diventate strade; le valli per loro natura producono questo tipo di fenomeni franosi, però quando diventano strade, il materiale delle colate di fango può scorrere molto più velocemente e con enormi danni“. Resta il fatto che si tratta di “fenomeni naturali che potranno verificarsi anche nel futuro, però possiamo intervenire riducendo la fragilità del territorio“. E’ anche possibile intervenire, prosegue, “pur considerando la difficoltà di questi territori, con strutture e presidi come vasche di laminazione, che possono ridurre l’effetto di tali fenomeni e la velocità delle colate di fango, diminuendo al contempo la quantità di materiale che viene trascinato”. Insomma, “l’uomo può e deve agire per mettere in sicurezza le zone abitate e soprattutto puntando sulla prevenzione. Ciò – conclude – da un lato intervenendo con strutture ad hoc e dall’altro imponendo la non urbanizzazione delle aree più a rischio”.  

 
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