Neandertaliani e Homo sapiens non si sono mai incontrati in Italia

Una nuova ricerca dimostra che non vi furono contatti diretti tra i gruppi di Neandertaliani e primi Homo sapiens che raggiunsero la Penisola italiana in due diverse ondate tra 42 e 43 mila anni fa.
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Un nuovo studio, effettuato in alcuni siti chiave dell’Italia meridionale, e pubblicato sulla rivista Nature Communications, rivela che i Neandertaliani abbandonarono quei territori ben prima dell’arrivo, nelle stesse aree, di Homo sapiens intorno a 43mila anni fa. Lo stesso studio mette in evidenza come ai primi gruppi di Sapiens, portatori del cosiddetto tecno-complesso uluzziano, si sostituirono, forse senza soluzione di continuità, altri gruppi appartenenti ad una seconda ondata di Sapiens proveniente dal Nord Italia.

Un team internazionale di ricercatori guidati da Thomas HighamKaterina Douka del Department of Evolutionary Anthropology, University of Vienna, Austria, Francesco Boschin e Adriana Moroni del Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente (DSFTA) dell’Università di Siena ha messo in relazione i dati derivati da più di 100 datazioni ottenute con il radiocarbonio e la luminescenza otticamente stimolata in alcuni tra i siti più significativi della Penisola italiana, con i dati stratigrafici, scoprendo che entrambe le evidenze analizzate portano alla stessa conclusione, ossia l’esistenza di uno iato crono-stratigrafico tra le ultime occupazioni neandertaliane e quelle dei primi sapiens. La mancanza di rapporti tra le due popolazioni è confermata anche dalle manifestazioni della cultura materiale che non presenta elementi comuni.

Si tratta del più ampio studio cronometrico eseguito in Italia su questa fase così importante della preistoria umana” afferma il Professor Thomas Higham dell’Università di Vienna. “La combinazione statistica di più metodi di datazione all’interno dei modelli cronologici ha permesso di rendere più precise sia le indagini intra-sito, che il confronto tra siti diversi

Utilizzando metodologie all’avanguardia, i ricercatori hanno potuto ricostruire con grande precisione l’evoluzione cronologica delle sequenze stratigrafiche di Grotta della Cala e Grotta di Castelcivita in Campania, Riparo L’Oscurusciuto e Grotta del Cavallo in Puglia, siti già ampiamente noti a livello internazionale, nei quali le indagini sono coordinate dall’ateneo senese.

Secondo la Professoressa Adriana Moroni del DSFTA: “sia i risultati delle datazioni radiometriche che i dati stratigrafici attestano l’esistenza di un intervallo di tempo intercorso tra l’ultima occupazione neandertaliana e la prima del Sapiens, arrivando a dimostrare che, con ogni probabilità, non vi furono contatti diretti tra le due popolazioni. Questo studio fornisce pertanto un quadro di dettaglio senza precedenti sugli ultimi Neandertaliani e la comparsa dei primi Sapiens nel Sud Italia. Poiché sulla base di recenti studi genetici, l’incontro diretto tra Sapiens e Neanderthal è oramai accertato, l’ipotesi formulata è che questi contatti non siano avvenuti ovunque con la stessa intensità e che vi possano essere state intere aree geografiche, come ad esempio l’Italia meridionale, in cui i due gruppi non si incontrarono direttamente o, per lo meno, non in modo abbastanza duraturo.”

Secondo il Professor Francesco Boschi del DSFTA: “questa ricerca rappresenta un passo significativo nella comprensione delle dinamiche che governarono le trasformazioni culturali e genetiche dei gruppi umani che popolarono l’Europa tra la fine del Paleolitico medio e l’inizio del Paleolitico superiore, una fase cruciale per la storia dell’Umanità che vide l’estinzione dell’Uomo di Neanderthal.”

La stessa risoluzione stratigrafica e cronologica utilizzata nel lavoro di Higham e colleghi sarà applicata a contesti ancora poco esplorati dell’Europa orientale e dell’Asia centrale, nell’ambito del progetto ERC Synergy ‘Last Neanderthals’, recentemente vinto dalle Università di Bologna, Siena e Haifa. Il progetto mira a comprendere i potenziali rapporti intercorsi tra Sapiens e Neandertaliani e a determinare le cause dell’estinzione di questi ultimi” spiega il Professor Stefano Benazzi dell’Università di Bologna.

Lo studio, effettuato da un team internazionale finanziato dal Consiglio Europeo, è stato condotto da Thomas Higham, Katerina Douka, Francesco Boschin e Adriana Moroni in collaborazione con Stefano Benazzi dell’Università di Bologna. Vi hanno preso parte inoltre gli studiosi: Marine Frouin della Stony Brook University (USA), Annamaria Ronchitelli, Paolo Boscato, Jacopo Crezzini, Vincenzo Spagnolo, Matteo Rossini, Clarissa Dominici e Ivan Martini, del Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena, Maxine McCarty dell’Arizona State University (USA), Armando Falcucci, dell’Università di Tubinga, Thibaut Devièse dell’Aix-Marseille University, Jean-Luc Schwenninger dell’Università di Oxford (UK), Giulia Marciani e Simona Arrighi con doppia affiliazione a Siena e a Bologna.

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