Il futuro del nucleare in Italia: opportunità per una filiera nazionale tra reattori, fusione e idrogeno verde 

L'Italia studia le prossime mosse sul nucleare: le dichiarazioni di Gilberto Dialuce, presidente dell'Enea
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L’Italia ha molte aziende che lavorano sulle nuove tecnologie per il nucleare e può quindi pensare di avere in futuro un attore nazionale nella filiera. Ne è convinto il presidente dell’Enea, Gilberto Dialuce, che nel corso di un’intervista ad “Agenzia Nova” ha fatto il punto sulle nuove tecnologie a disposizione nel settore e ha spiegato come la reintroduzione del Nucleare nel nostro Paese potrebbe rappresentare “un’opportunità per valorizzare una catena del valore italiana”. Tra le aziende impegnate nel comparto, ha sottolineato Dialuce, ci sono Enel, Eni e Ansaldo Nucleare, ma anche start up come Newcleo, che lavora su reattori di quarta generazione, e Siet, che produce componentistica ed esegue test di componenti per reattori.

“Queste possono creare un pull e dare così vita a un soggetto italiano”, ha evidenziato il presidente dell’Enea, che hai poi chiarito come, nel caso di avvio di una catena del valore nazionale, occorrerebbe investire nella parte della ricerca, “per sostenere l’applicazione delle tecnologie e fargli fare l’ultimo passo per favorirne poi la commercializzazione”, ma anche cercare di impiantare nel nostro Paese “una catena di fornitura, come si fa per altri settori”. A tal fine, ha chiarito, “sono possibili delle forme di finanziamento, di garanzia statale, che facilitano l’investimento da parte del settore privato”. Un’ulteriore componente da sviluppare è poi quella della formazione, così da avere “una forza lavoro specializzata” ma anche “una nuova leva del mondo accademico che si occupi della preparazione sul nucleare”.

In questo contesto, l’Enea è pronta a fare la sua parte. “Non abbiamo mai abbandonato il settore del Nucleare – ha sottolineato Dialuce – e siamo pronti a sostenerne un’eventuale reintroduzione in Italia supportando, anche dal punto di vista tecnologico, la filiera industriale”. Le tecnologie innovative consentono attualmente di puntare sostanzialmente su “due tipologie di reattori avanzati”: da una parte ci sono i piccoli reattori modulari (Amall modular reactors-Smr), impianti da circa 300/400 megawatt che hanno il doppio vantaggio di essere “una versione più innovativa e più sicura” del nucleare tradizionale, ma anche di poter essere prodotti in serie con componenti create fuori dal sito dove poi verrebbero montati, “permettendo in prospettiva una riduzione dei costi di installazione e dei tempi di realizzazione”. L’altra opzione sono i reattori di quarta generazione, “che sono tipicamente i reattori raffreddati per esempio a piombo fuso”.

Anche qui il vantaggio è doppio: “dato che il sistema è chiuso in sé, in caso di danni non ci sono nubi radioattive che posso andare nell’atmosfera, e il piombo assorbe meglio di tutti le radiazioni”. E poi “questo tipo di reattori può utilizzare come combustibile i rifiuti della precedente generazione, che oggi necessitano di un deposito geologico”. Se si guarda alle tempistiche, ha chiarito Dialuce, “gli Smr sono in fase di sviluppo: ci sono molti progetti al livello europeo e non, ed Enea collabora ad alcuni di questi per sviluppare i codici di calcolo e alcune componenti tecnologiche”, per cui “dovrebbero essere disponibili intorno al 2035″, mentre per i reattori di quarta generazione si dovrà attendere un po’ più, “intorno al 2040/2045”

Le tipologie di reattori nucleari

Tra le tipologie di reattori nucleari resi disponibili dalle nuove tecnologie ci sono poi anche i micro reattori, impianti di circa 5-10 megawatt che, secondo il presidente dell’Enea, potrebbero rappresentare una fonte di energia sufficiente, ad esempio, per una piccola industria. Questa nuova tecnologia, in fase di sviluppo in particolar modo negli Stati Uniti, pur non potendo sostituire per potenza i grandi reattori, può infatti essere utilizzata per “applicazioni particolari”, come può essere appunto una piccola industria, a patto che non si tratti di imprese “energivore”, che “necessitano chiaramente di una potenza maggiore”. Come detto per gli Smr e i reattori di quarta generazione, si tratta anche in questo caso di “una tecnologia molto sicura”, in quanto “il combustibile Nucleare è contenuto all’interno di microsferule che non hanno possibilità di entrare in scenari incidentali”, ha spiegato Dialuce, che ha tuttavia evidenziato la presenza di alcune “complicazioni” sul fronte dello smantellamento.

La fusione nucleare

Per quanto riguarda la fusione Nucleare, il traguardo è il 2050, ma i forti investimenti nella ricerca da parte del settore privato potrebbero portare a un’accelerazione. “Per la prima volta la fusione è uscita dal mondo della ricerca tecnologica e scientifica per diventare un prototipo industriale” e l’impegno messo in campo dai privati in questi anni potrebbe portare a “sviluppi più veloci” rispetto a quelli attualmente previsti. E’ tuttavia presto per dirlo. Le informazioni che circolano sugli avanzamenti sono poche, ha chiarito Dialuce, perchè “il primo che dovesse arrivare al livello privato a sviluppare un reattore di fusione avrebbe un vantaggio competitivo enorme”. L’energia prodotta da fusione potrebbe infatti “essere la soluzione a tutti problemi di decarbonizzazione”, dato che si tratta di “un’energia praticamente illimitata, che non ha più vincoli geopolitici”, perchè non dipende dalle forniture di uranio da parte dei vari Paesi, e che “non ha il problema dei rifiuti di lunghissima vita”. Tra i progetti sulla fusione c’è quello portato avanti dall’Eni con il Mit di Boston, che “ha già avuto dei successi parziali su alcune componenti”, ma “lo sforzo tecnologico da portare avanti è notevole”, ha proseguito Dialuce, evidenziando la concorrenza di tanti progetti privati che “lavorano con un approccio diverso da quello europeo”, basato più su tentativi pratici. “Questo però – ha chiosato – si può fare se si hanno dietro grandi capitali”.

Progetti di ricerca avanzata sul Nucleare esistono però anche in Italia, come quello che la stessa Enea sta portando avanti nel suo centro di ricerca a Frascati su un particolare componente dei reattori a fusione nucleare, il divertore, che sta venendo sperimentato con un impianto in costruzione. Il prototipo dovrebbe essere completato nel 2029. Il progetto, dal costo di circa 600 milioni di euro, è portato avanzati dall’ente di ricerca grazie anche a finanziamenti comunitari e statali, e l’obiettivo è quello di rispondere a una tra le principali criticità scientifiche e tecnologiche nella realizzazione della fusione nucleare, ossia il problema della gestione dell’energia ad altissima temperatura che viene generata dalla fusione: in questo caso, ha spiegato Dialuce, “la reazione viene innescata e contenuta all’interno di una ciambella creata da campi magnetici. E poi, nel momento in cui si riesce ad estrarre l’energia, questa viene spalmata su un componente realizzato in tungsteno sulla base di brevetti Enea, che consente poi di produrre vapore e avviare una centrale termoelettrica tradizionale”. 

L’idrogeno verde

Una valida risorsa in ottica decarbonizzazione può essere infine anche l’idrogeno verde, ma gli elevati costi di produzione “non lo rendono attualmente competitivo”. Il cosiddetto “idrogeno verde”, ossia quello ottenuto separando l’idrogeno dall’acqua con un processo di elettrolisi alimentato da energia rinnovabile, “si presta bene ad utilizzi al livello locale nei casi in cui non sia possibile elettrificare direttamente” e rappresenta anche una “fonte utilizzabile come carburante per il trasporto pesante”.

A patto però di efficientare i sistemi di produzione. “Nel Pnrr – ha spiegato Dialuce – ci sono molti programmi che incentivano investimenti in sperimentazione e produzione d’idrogeno” ma servono “nuove tecnologie che consentano di produrlo anche senza elettrolisi dell’acqua”, così da avere “costi minori”.

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