Disastro di Chernobyl, dopo 30 anni la conferma definitiva: “nessuna conseguenza in Friuli Venezia Giulia”

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Sono passati poco più di 30 anni dallo scoppio del reattore n. 4 della centrale termonucleare di Chernobyl in Ucraina, ma quell’evento è ancora riscontrabile in tracce nei campioni di suolo o di muschi prelevati in Friuli Venezia Giulia. Per ricordare quell’evento drammatico, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa FVG) ha organizzato un convegno a Udine, con l’obiettivo di capire soprattutto quali sono state in Friuli Venezia Giulia le ricadute ambientali e sanitarie dell’incidente. “Quel tragico episodio rappresentò un momento di svolta nell’affrontare il tema della radioattività”, ha rimarcato l’assessore regionale all’Ambiente Sara Vito, nel suo indirizzo di saluto, aggiungendo che “rese chiaro la necessità di costituire una rete di radioprotezione anche in regione”, dove non sono presenti centrali nucleari, ma dove ci possono essere effetti dovuti alla presenza di centrali negli Stati contermini. Il prossimo 18 ottobre, nell’ambito degli accordi bilaterali Italia-Slovenia, è già programmato un incontro a cui parteciperà anche il Centro di radioprotezione dell’Arpa.

chernobylNel corso del convegno è stato descritto l’evento di Chernobyl in dettaglio. Dal 26 aprile del 1986 ai primi di maggio, lo scoppio del reattore n. 4 provocò una nube radioattiva, trasportata prima verso la Scandinavia e in seguito, per il mutare delle condizioni meteo, in direzione sud-ovest, interessando il Friuli Venezia Giulia in 3 successivi momenti. Nel convegno di Udine sono stati riportati da arpa tutti i dati raccolti nei 30 anni di studio, sia quelli riferiti alla contaminazione ambientale, sia quelli relativi al rischio e alla dose alla popolazione. Le conclusioni del convegno sono confortanti. Pur essendo stato, infatti, il Friuli Venezia Giulia contaminato in maniera significativa dai radionuclidi provenienti da Chernobyl, in nessun caso ci sono stati pericoli diretti per la salute umana e per l’ambiente. Il Cesio radioattivo (CS-137), tuttavia, è ancora presente sul territorio regionale; ciò non desta preoccupazione, ma ha consentito di avviare importanti studi sull’evoluzione dei radionuclidi negli ambienti naturali e all’interno degli ecosistemi. Ha permesso, inoltre, di sviluppare dei protocolli di campionamento e di misura su numerose matrici ed indicatori di radioattività ambientale, come suolo, muschi, funghi.

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