Esattamente una settimana fa, il 30 ottobre del 2016, alle 7.40 della mattina, in un inizio di giornata caratterizzato da cielo terso grazie al vento di tramontana, l’Italia centrale veniva colpita da un terremoto di magnitudo Mw 6.5. L’ipocentro a 9 km di profondità, l’epicentro a 6 chilometri da Norcia, a cavallo fra Umbria e Marche. Si trattava del terremoto più forte che l’Italia avesse sofferto dal 23 novembre 1980, giorno del disastroso sisma in Irpinia.
In queste ore mezza Italia era incollata a televisori, radio e computer, per conoscere gli effetti di un sisma che, in un primo momento, si temeva avesse causato nuove vittime. Per fortuna, essendo avvenuto in un’area già colpita da forti scosse nei giorni precedenti, le case già lesionate erano state abbandonate. Nessuna vittima venne registrata, solo alcune decine di feriti. Il danno a edifici e patrimonio architettonico, però, era enorme. Il simbolo di questo nuovo dramma, rimbalzato sui mass media di mezzo mondo, era la cattedrale di Norcia, crollata parzialmente. Ma gli sfollati furono decine di migliaia. I danni ai centri abitati enormi: oltre a Norcia, colpita al cuore, anche i piccoli ed incantevoli borghi montani situati intorno al Vettore subirono gravissimi danni. Uno di questi era Castelluccio di Norcia, devastato dalla scossa.
Il sisma ebbe un risentimento sismico molto forte in tutta Italia: venne avvertito da Trento alla Puglia, e addirittura nei Balcani e in Austria. Nell’Italia centrale l’intensità raggiunse valori molto alti anche a diverse decine di chilometri di distanza. Nelle Marche e in Umbria tanta paura, per un V-VI grado scala MCS. A Roma l’intensità raggiunse il V grado, nelle aree alluvionali del Tevere e dell’Aniene. Il sisma buttò giù dal letto mezza città. Roma si scopriva vulnerabile e spaventata: vennero chiuse chiese, strade (la Tangenziale est per esempio, nel tratto sopraelevato), ponti. Un ascensore precipitò in zona Marconi per fortuna senza causare feriti. Il 31 ottobre le scuole rimasero chiuse.
Il terremoto avveniva a poco più di due mesi di distanza dal terremoto del 24 agosto 2016 che aveva sconvolto l’area intorno ad Amatrice, lasciando 298 morti. Da quella data erano state registrate già oltre 18.000 scosse. Il 26 ottobre, quattro giorni prima di questo nuovo evento sismico, erano state registrate nell’area della Valnerina altre due scosse. Una di magnitudo 5.4 e l’altra di magnitudo 5.9, rispettivamente alle 19.10 ed alle 21.18.
La nuova area interessata si trovava a nord di quella colpita dalla crisi sismica iniziata il 24 agosto.
Oltre ai gravi danni sul patrimonio edilizio ed architettonico, con oltre ventimila sfollati, il terremoto del 30 ottobre ha lasciato anche importanti segni sulla topografia. La faglia del Monte Vettore, la stessa che nel 2003 i geologi Galli e Galadini avevano individuato e ritenuto potenzialmente in grado di un sisma di magnitudo 6.5, mostrava – lungo il piano di faglia – uno slittamento di oltre mezzo metro. In tutta l’area dell’epicentro sono state rilevate fratture del terreno, causate dal movimento della faglia. Nella zona di Fermo sono sorti vulcanelli di fango, causati dalla liquefazione del suolo a seguito del sisma (qui abbiamo spiegato perché). Ci furono anche importanti frane, come quella che ha sbarrato il corso del Fiume Nera.
Ed ora, qual’è il punto della situazione a sette giorni dal sisma? Dopo l’evento del 30 ottobre, sono stati localizzati complessivamente oltre 3300 eventi sismici. Sono stati 20 i terremoti di magnitudo compresa tra 4 e 5 localizzati dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV. Dal 24 agosto gli eventi sismici nell’area fra Lazio, Umbria e Marche sono stati quasi 24.000. Nelle aree terremotate si lavora alla rimozione delle macerie e si parla già di ricostruzione.